Ora si riparte. Ma sappiamo dove andare?

I partiti in stallo

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 16 maggio 2021 - Ripartire: è la parola jolly delle ultime settimane. Ripartiamo tutti, dunque. Ma da dove? E soprattutto, per andare dove? Lo spirito dei tempi è certo giusto: la campagna vaccinale nel vivo, il piano per il Recovery approdato in Europa, la bella stagione alle porte ci fanno sperare in una svolta attesa dopo quindici mesi di incubi e lockdown. Ma la sensazione resta la stessa a cui nel nostro Paese siamo abituati: non c’è bussola per svoltare da nessuna parte. I partiti ai tempi di Draghi si litigano le briciole del dibattito pubblico, immobilizzati nel consueto stallo.

Per dire: il tema su cui si è acceso maggiormente lo scontro ideologico è stato l’orario del coprifuoco. Salvini, che da quando è entrato nel Governo ha pensato soprattutto a come uscirne, ora per salvarsi (dai sondaggi in netto calo) ha scelto la via di mezzo: restarci dentro, ma non troppo. Delineando così un orizzonte temporale più che breve per questa maggioranza «buona – e qui parafraso il leader della Lega – per risolvere le emergenze, non certo per trattare di riforme».

Le riforme sul piatto sono da far tremare i polsi, altro che orario del coprifuoco: giustizia e fisco. Tra l’altro l’Europa è stata chiara: i 209 miliardi del Recovery sono legati ai cambiamenti che l’Italia sarà in grado di fare su questi due temi cruciali. Niente di nuovo sotto il sole. È di dieci anni fa esatti, per dire, l’ormai storica conferenza stampa in cui Merkel e Sarkozy iniziarono a ridere dopo che un giornalista aveva chiesto loro se l’Italia li avesse rassicurati sulle riforme che intendeva fare per arginare la disastrosa crisi economica in atto.

Berlusconi era premier, un mese dopo sarebbe arrivato Monti, Draghi stava per diventare presidente della Bce. Un’era geologica fa: ma i nodi del nostro Paese erano allora gli stessi di oggi. Né più né meno. Irrisolti. Giustizia e fisco sono del resto due temi così divisivi da rischiare di minare il consenso elettorale salviniano, a tutto vantaggio di Giorgia Meloni, che nei sondaggi ha superato il 18%. Così Salvini un giorno dice che promuoverà coi Radicali il referendum sulla giustizia, un giorno augura a Draghi di salire presto sullo scranno più alto del Quirinale.

A sinistra il panorama non è migliore: Pd e 5 Stelle hanno affondato i propositi di alleanza sulle secche delle amministrative romane, che con la riconferma della Raggi per il Movimento e la scesa in campo di Gualtieri per i Dem segnano un colpo durissimo (forse irrecuperabile?) al piano che fu di Conte e Zingaretti. Il segretario democratico Letta, che di questa aspirazione fusionale giallorossa si era dichiarato sostenitore, erede e garante, firma così il suo primo fallimento politico alla guida del Pd. Non male dopo due mesi di leadership in cui le dichiarazioni che si sono fatte ricordare di più sono state a difesa del cantante Fedez.