L'insostenibile leggerezza della Toscana

L'editoriale della direttrice della "Nazione"

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 28 febbraio 2021 - Passano tutti da qui. Già. Da qui, dalla Toscana, passa Conte che a Firenze è venuto a fare la lectio magistralis per gli studenti di Giurisprudenza. Da qui passa Grillo che a Marina di Bibbona ha la casa delle vacanze, e che proprio oggi potrebbe incontrare l’ex premier Conte per decidere, presumibilmente, le sue future sorti politiche, forse da leader dei 5 Stelle, forse da federatore di un’arca dell’alleanza politica tra Movimento, Pd e Leu. Da qui poi passa (anzi, ci vive) Renzi e passa perfino Salvini, che non di rado trascorre i fine settimana nella fiorentinissima casa della fidanzata Francesca Verdini.

Da qui partono schermaglie politiche che rischiano adesso di mettere seriamente in discussione la leadership del Partito Democratico, dopo l’affondo contro direzione e segreteria innescato da un duro J’accuse del sindaco di Firenze Dario Nardella, una settimana fa, proprio sulle colonne de La Nazione.

Eppure la Toscana è di fatto solo un meraviglioso proscenio. O meglio, è il pied-à-terre della politica romana che però non lascia né prende nulla. Prova ne è stata perfino l’ultima partita che assegna caselle di potere non certo irrilevanti sullo scacchiere nazionale: quella sui sottosegretari e vice ministri, 39 in tutto, del neonato governo Draghi.

Bottino più che tiepido, parlando in chiave meramente campanilistica. Una toscana (Deborah Bergamini) in quota Forza Italia e un’altra (Tiziana Nisini) in quota Lega, zero su zero dalle lande del centrosinistra, che pure qui conserva il suo fortino più strutturato, il suo bacino di voti più inossidabile, come ha mostrato anche l’esito del voto regionale di settembre.

Ma su Roma - dove tutto si decide oggi più che mai, pensando alla pandemia, alle campagne vaccinali, ai soldi del Recovery Fund - il riverbero del peso e contrappeso toscano è praticamente nullo.

Che cosa è accaduto, dove si è inceppata la nostra capacità di produrre classe dirigente, e quindi di contare davvero qualcosa? Perché c’è stato un tempo, neppure troppo lontano, in cui la Toscana aveva tutt’altro appeal nazionale. Di cosa dunque paghiamo lo scotto?

A sinistra, c’è chi giura che l’inceppamento stia tutto nei dissidi interni che stanno spaccando zingarettiani e oppositori, identificati come “rigurgito renziano” (parole usate su La Nazione dal vice segretario Dem Orlando) che proprio qui in Toscana ha inevitabilmente le sue basi più solide.

Possibile che sia davvero questa la ragione di un’irrilevanza politica ormai strutturale? Il rischio è che si guardi il dito e non la luna, e che la classe dirigente toscana perda ancora altro tempo prezioso prima di iniziare una riflessione non di maniera sulle ragioni che l’hanno portata a diventare poco più che una comparsa sulla scena nazionale.