Il lavoro, il dolore e l’importanza delle parole

L’ultima polemica su Gkn

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 28 novembre 2021 - Lo dico chiaramente: quando venerdì ho letto il post su Facebook con cui un importante studio legale annunciava orgoglioso di aver vinto un premio per aver assistito Gkn nella chiusura – cito testualmente – "dello stabilimento fiorentino e nell’esubero di circa 430 dipendenti", sono rimasta tanto stupefatta da pensare (e sperare) che si trattasse di uno scherzo, di una fake news, di una storia montata ad arte. E invece era tutto vero. A ventiquattro ore di distanza, e dopo un’onda di indignazione social e politica, il rappresentante dello studio, questa volta con un video, ha dichiarato di essere stato strumentalizzato e frainteso.

Lo credo anche io. Credo anche io che ci sia una profonda incomprensione, o quanto meno una profonda ingenuità comunicativa, dietro l’uso spumeggiante di quelle parole di giubilo a proposito di una ferita che è ancora sanguinante, e che ha lacerato Campi Bisenzio e Firenze colpendo al cuore una realtà produttiva tra le più radicate. Ma quanto successo, al di là delle incomprensioni o delle cadute di stile, è utile per guardare il tutto da un punto di vista più ampio.

La storia dello studio legale e di Gkn mostra come si stia perdendo la percezione del peso umano e simbolico delle proprie parole, ben oltre i numeri e i risultati professionali, ben oltre i doveri che il proprio mestiere impone, ben oltre l’etica e la deontologia che stanno alla base di qualunque lavoro. Anche quello di uno studio legale che fa certamente il suo dovere affiancando chi chiede un servizio, e lo fa come è giusto al meglio delle sue possibilità. Ma dovrebbe farlo anche nella consapevolezza del proprio limite. Perché esiste sempre un limite invalicabile, e che possiamo chiamare, se vogliamo, morale.

Così quel post su Facebook, fraintendibile e frainteso, offende perché non tiene conto dell’umanità che sta dietro i numeri. Offende perché ignora le lacrime e la disperazione consumatesi giorno dopo giorno, notte dopo notte, davanti ai cancelli sbarrati di Gkn, mentre chi ci aveva lavorato per una vita aveva improvvisamente perso dignità e speranza. Ignora lo sgomento e talvolta la rassegnazione, così come la rabbia e la voglia di andare avanti malgrado tutto. Ignora che dietro quei “circa 430 operai” (e già l’uso del “circa” fa sobbalzare) ci sono uomini e donne. C’è, dietro quei “circa 430 operai”, la storia di una comunità, di una città e di una cultura d’impresa e di lavoro spazzate via dalla brutalità con cui una multinazionale ha disertato il proprio impegno sul territorio che per tanti anni l’aveva ospitata. Ignora quel che di sacro c’è, e sempre deve esserci, nel lavoro. Perfino nella sua perdita.