Bombe, violenze e squadracce fasciste, un secolo fa l’omicidio di Spartaco Lavagnini

Il sindacalista fu ucciso il 27 febbraio 1921 nella sede di via Taddea da un commando di tre persone, dopo una giornata segnata da attentati, morti e tafferugli

Spartaco Lavagnini (al centro), sindacalista comunista ucciso il 27 febbraio 1921

Spartaco Lavagnini (al centro), sindacalista comunista ucciso il 27 febbraio 1921

Firenze, 26 febbraio 2021 - Pare che quando entrarono nella sua stanza al primo piano, vedendolo seduto alla scrivania con una sigaretta in bocca a preparare il prossimo numero di «Azione comunista», non dissero niente. Semplicemente uno dei tre del commando alzò la pistola e fece fuoco. Una frustata secca a spezzare il silenzio nel quale era immersa la sede del periodico, in via Taddea proprio dietro il mercato di San Lorenzo. Colpito sotto il naso, l’uomo cadde a terra ferito, forse implorando pietà. I killer non ne ebbero. Così lo stesso che aveva sparato fece due passi avanti, si chinò su di lui e lo finì con un colpo nell’orecchio sinistro. Poi, non paghi di tanta ferocia, i tre presero il cadavere e lo rimisero sulla sedia con la sigaretta in bocca, in quello che a loro parve forse il segno distintivo dell’onnipotenza ma era solo infinita miseria umana.

Al piano di sotto quando i tre squadristi annunciarono l’esito riuscito della spedizione punitiva, gli altri 30 fascisti che li avevano accompagnati lanciarono al cielo grida di gioia, devastando per intero la sede che ospitava oltre alla redazione del giornale comunista anche la federazione del partito e il sindacato ferrovieri.

Era il 27 febbraio del 1921, cento anni fa esatti, e nella polveriera sociale della Firenze di quella stagione, la vita di Spartaco Lavagnini ebbe fine così. Portata via dalla prepotenza feroce di una cultura politica che avrebbe prodotto altri lutti e altri orrori Spartaco Lavagnini, figura simbolo del movimento operaio e di quel mondo che provò a opporsi invano al fascismo nascente. Originario della Valdichiana (era nato a Cortona nel 1889), con un diploma di ragioniere in tasca ottenuto a Siena, arrivò a Firenze nel 1907 come impiegato delle Ferrovie dello Stato, divenendo ben presto leader sindacale e politico. Stregato dalla corrente rivoluzionaria del Psi, Lavagnini fu uno dei principali sostenitori del fronte anti-interventista con posizioni nette che espresse attraverso il giornale La Difesa, allora organo del partito socialista fiorentino del quale gli era stata affidata la direzione. 

Eletto nel 1920 nel consiglio provinciale di Firenze, dopo la scissione di Livorno fu fra i primi ad aderire al neonato partito Comunista, diventando il primo segretario della federazione fiorentina e, allo steso tempo,. il direttore del periodico «Azione comunista». Un simbolo ideale da colpire per lo squadrismo locale che non si lasciò sfuggire l’occasione determinata dai tumulti del 27 febbraio di cento anni fa. Quei giorno verso mezzogiorno un corteo di nazionalisti stava sfilando per il centro della città dirigendosi verso Piazza dell’Unità per deporre una corona al monumento ai caduti di tutte le guerre, quando, all’altezza di piazza Antinori, una bomba esplose fra la folla. provocando due morti, il carabiniere Antonio Petrucci e lo studente Carlo Menabuoni, e scatenando un autentico panico in città: nel caos un carabiniere uccise un passante che portava al bavero un distintivo socialista, Gino Mugnai, perché avrebbe compiuto un gesto di disprezzo nei confronti del carabiniere in fin di vita che stava in quel momento venendo portato via dalla piazza. 

La squadra d’azione fiorentina “la Disperata“ tristemente famosa negli anni ’20

L’ordigno era stato piazzato dagli anarchici, come poi è stato appurato, ma lo stesso l’occasione servi al ras emergente del fascismo fiorentino, Dino Perrone Compagni, per regolare i conti con la parte avversa del neonato partito comunista e mostrare la forza del movimento.  Così dal primo pomeriggio cinque squadre di attivisti fascisti iniziarono a scorazzare per la città entrando nei bar e nelle pasticcerie, buttando fuori a calci i clienti e imponendo ai proprietari di tenere le serrande abbassate in segno di lutto. Qualcuno si spinse anche oltre, fermando i passanti per strada e obbligandoli a mostrare i documenti in una esibizione muscolare di prepotenza politica. Una polveriera.

Per questo pare che qualcuno avesse consigliato al Lavagnini, di non andare quel giorno nella sede del partito comunista: «E’ troppo rischioso». Restò inascoltato. Così, quando al tramonto la squadraccia fascista penetrò dentro le stanze di via Taddea, non ebbe difficoltà a portare a compimento il vigliacco omicidio. La notizia della morte di Spartaco Lavagnini incendiò ancora di più gli animi di Firenze. I ferrovieri bloccarono i treni alle stazioni di Rifredi, di Campo di Marte e di San Donnino, mentre in San Frediano e in Santa Croce furono alzate barricate. La protesta coinvolse anche altri centri come Scandicci, Empoli, Bagno a Ripoli e Ponte Ema. Una situazione quasi insurrezionale. E siccome orrore chiama orrore, a pagare con il sangue fu anche il figlio di un industriale fiorentino con simpatie fasciste, il 26enne Giovanni Berta, pugnalato e poi gettato nell’Arno dal Ponte alla Vittoria. Le violenze ebbero termine solo due giorni dopo grazie all’intervento dell’esercito

A Spartaco Lavagnini oggi è intitolato un viale a Firenze, una piazza a Sesto Fiorentino, una via a San Giovanni Valdarno e una a Grosseto. Una targa in via Taddea ricorda il suo barbaro assassinio. Nella speranza che quella cultura di violenza e prepotenze sia per sempre passata.