"Noi, medici con l’Africa. Missione d’amore"

L’esperienza della dottoressa Trivelli e l’impegno internazionale dell’organizzazione Cuamm. Sabato, a Firenze, il meeting 2019

La dottoressa Trivelli a Wolisso (Etiopia) con il direttore dell’Oms, Tedros Adhanom

La dottoressa Trivelli a Wolisso (Etiopia) con il direttore dell’Oms, Tedros Adhanom

Firenze, 6 novembre 2019 -  I grandi ideali fanno ancora oggi la differenza. Soprattutto nelle scelte di vita. Che trova un senso se si assecondare quando di più recondito è celato nell’anima. Marina Trivelli ha capito fin da subito che professione e ambizione non potevano prescindere dalla vocazione. E’ ha deciso di decidere. Per se stessa. Per gli altri. Ed è entrata a far parte del team di ‘Medici con l’Africa Cuamm‘, prima organizzazione italiana per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane e sabato il sodalizio sarà protagonista alle 11 al Teatro Verdi di Firenze per il meeting annuale. Una storia d’amore nata nel 2002 tra la dottoressa Trivelli – medico chirurgo – e il continente africano. Dodici anni tra Angola, Mozambico, Etiopia e Sierra Leone.  

Dottoressa, cosa significa per lei la parola Africa? «Significa credere nei propri ideali e provare a trasformarli in qualcosa di concreto per il prossimo. Un prossimo così lontano da noi. Non solo geograficamente».  

E poi? «Significa imparare a superare gli ostacoli, misurarsi con difficoltà, solitudine e condizioni estreme. Professionali e di vita».  

Perché l’Africa? «Nel momento in cui uno decide di fare medicina, romanticamente si immagina di poter fare del bene agli altri. Sin dalle scuole medie sognavo di partire per l’Africa. Ho conosciuto Cuamm, non ho avuto più alcun dubbio».  

Lavorare in Africa per un medico non è una passeggiata... «Non a caso ‘Medici con l’Africa‘ accompagna i dottori che vogliono partire attraverso un corso di un anno per approcciarsi in maniera adeguata a un sistema sanitario diverso e a condizioni professionali al limite. Il percorso è psicologico e non solo tecnico».  

Lei ora è medico di pronto soccorso in Italia. Un’altra vita rispetto all’Angola ad esempio... «Intanto ero più giovane (sorride ). E poi erano i primi passi. Inoltre la prima esperienza è quella che ti segna. In Angola mi trovavo nella missione cattolica di Chiulo. Il posto più vicino per telefonare si trovava a sette ore di distanza dal villaggio dove c’era l’ospedale con 200 posti letto».  

Dall’Angola al Mozambico. In un contesto assai differente. «In Mozambico nella città di Beira abitavo in una casa coloniale portoghese. Situazione assai diversa. A volte mi sembrava quasi di essere in vacanza. Lavoravo in un ospedale con 600 posti letto. Inoltre seguivo gli studenti che poi, col passare del tempo, sarebbero diventati colleghi».  

Perché è proprio questa una delle mission di Cuamm. «Proprio così. Noi siamo medici ‘con’ l’Africa e in quel ‘con’ c’è l’essenza di tutto. Proviamo a trasferire in Africa la cultura della vocazione per la salute del prossimo. L’obiettivo è formare i locali come medici e infermieri. Ogni ospedale, Cuamm ha una scuola infermieri e una per ostretiche».  

Bisogna lavorare anche sull’entusiasmo. Non è così? «Assolutamente. Perché oggi le missioni hanno una geografia differente. Non sarà un caso se, da quando sono in Italia, mi senta missionaria in patria. Certo alle nostre latitudini le situazioni per aiutare non mancano. Basta solo cercare quella vocazione d’amore che c’è in ognuno di noi».  

Diego Casali © RIPRODUZIONE RISERVATA