Il disastro dimenticato dell’aereo AZ 112. "Da 50 anni chiedo verità per la mia famiglia"

Firenze, la battaglia della cugina di una donna morta nella sciagura di Punta Raisi: "Liquidarono il caso come errore umano, gli studi dicono altro"

Il relitto dell'aereo precipitato il 5 maggio del 1972

Il relitto dell'aereo precipitato il 5 maggio del 1972

Firenze, 21 febbraio 2022 - Erano le dieci della sera del 5 maggio 1972 quando il Douglas DC-8-43 dell’Alitalia – il volo AZ 112 da Fiumicino a Palermo – bucò la pancia calda e luminosa del cielo siciliano carico di primavera. Palermo, là sotto, era sdraiata come una regina malandata. Venti minuti dopo, in un istante secco, l’esperto comandante Roberto Bartoli capì che per lui e tutti i suoi passeggeri non ci sarebbe stata nessuna alba. L’aereo si sfracellò contro un crinale di roccia alto 935 metri e scivolò sul terreno fino a distruggersi contro gli spuntoni della cresta. La tragedia di montagna Longa – 115 morti, il più grave disastro aereo dell’aviazione italiana – oggi è un ricordo sfumato dal tempo.

Ma non per Grazia Galardi che a cinquant’anni esatti dalla tragedia ha ancora un taglio nell’anima, "gli occhi sbarrati di terrore di mia cugina Maria Gloria quando dovetti riconoscere il suo corpo, e quello di suo marito, all’ospedale di Palermo". Grazia, fiorentina come la cugina scomparsa nell’incidente del 1972, cerca ancora la verità su quel disastro, "una verità che non sia quella ufficiale, cioè l’errore umano del pilota perché su questa storia ci sono sempre stati, tanti, troppi misteri". Alcuni testimoni, all’epoca, riferirono di aver visto l’aereo già in fiamme alcuni prima dello schianto, ma il processo avrebbe poi indicato quali colpevoli i piloti, che non avrebbero obbedito alle direttive dei controllori di volo. "Quando io non ci sarò più nessuno a Firenze ricorderà più la storia di Maria Gloria, una donna dolcissima, una crocerossina che quel giorno non sarebbe mai voluta salire su quel volo perché lei degli aerei aveva una paura tremenda". Fu un atto d’amore nei confronti del marito deciso ad andare nella natìa Sicilia per portare l’ultimo saluto al babbo sul letto di morte. Chiuderanno gli occhi insieme, destino beffardo, alla stessa ora di quel maledetto 5 maggio. "Perché quel disastro è stato rimosso dalla memoria di tutti?" si chiede Grazia che promette "finché sarò in vita mi batterò per la verità".

Su quel volo c’erano tanti semplici siciliani che tornavano dalle famiglie, ma a bordo c’era anche qualche nome conosciuto. Il sostituto procuratore generale di Palermo, Ignazio Alcamo – che, ricorda Wikipedia sul suo sito, aveva disposto il soggiorno obbligato per Francesco Vassallo, costruttore legato al Sacco di Palermo, e Antonietta Bagarella, poi moglie di Salvatore Riina – il comandante della Guardia di finanza di Palermo, Antonio Fontanelli; il regista Franco Indovina (che all’epoca raccoglieva elementi per un film su Enrico Mattei ); l’ex medico di Salvatore Giuliano, Letterio Maggiore (attore esterno del processo sulla Strage di Portella della Ginestra) e il giornalista e politico del Partito comunista, Alberto Scandone. Il processo ufficiale incolpò i piloti per non aver seguito le linee guida dei controllori di volo. Come detto il motivo dell’incidente venne archiviato come “errore del pilota” anche se c’è un’altra versione sostenuta da alcuni parenti delle vittime del disastro. Maria Eleonora Fais – sorella di Angela Fais, segretaria del quotidiano L’Ora di Palermo morta nell’incidente – trovò dopo molti anni il rapporto del vicecapo della polizia Giuseppe Peri secondo il quale l’aereo fu colpito da proiettili durante un bombardamento. Tutto questo mentre l’Associazione nazionale piloti aviazione commerciale (l’Anpac) si schierò dalla parte dei piloti, ritenendo impossibile un errore umano vista la grande esperienza e le ore di volo dei colleghi.

«Tante cose non quadrano in quella vicenda – insiste Grazia – eppure di Ustica se ne parla ancora mentre le vittime di Montagna Longa sembrano essere considerati morti di serie B". E’ di poche settimane fa la notizia della pubblicazione scientifica di un docente di Aerodinamica e dinamica dei fluidi dell’università di Palermo, Rosario Ardito Marretta, che ribalta le conclusioni del processo del 1984. Secondo lo studioso, una micro carica posta in un incavo dell’ala avrebbe potuto creare uno squarcio con perdita di carburante e relativo incendio.