Coronavirus, come sta cambiando la comunicazione

Intervista al prof. Luca Toschi, direttore del Centre for Generative Communication dell’Università di Firenze

Il prof. Luca Toschi, direttore del Centro per la Comunicazione Generativa Unifi

Il prof. Luca Toschi, direttore del Centro per la Comunicazione Generativa Unifi

Firenze, 1 aprile 2020 – Col professor Luca Toschi, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore del Centro per la comunicazione generativa dell’Università di Firenze, osserviamo come la comunicazione abbia acquisito un ruolo ancora più incisivo nelle nostre vite, in particolare in questo tempo di coronavirus.

Professore, quanto la pandemia ha evidenziato la crisi del sistema che a livello globale stiamo vivendo? E qual è il ruolo della comunicazione in questo contesto?

“La pandemia come crisi di sistema mi pare evidente perché su tutti i fronti abbiamo registrato difficoltà di intervento, soprattutto nella capacità di raccordo internazionale. Ossia, di trovare una risposta tutti insieme, anziché aspettare che di volta in volta i singoli stati venissero colpiti dal Covid-19. Non abbiamo dunque avuto una cultura di risposta adeguata al sistema mondo. Prima, si è pensato che fosse un problema cinese, poi iraniano e così via, per cui mano a mano che il virus si allargava il nuovo paese colpito cercava di dare la sua autonoma risposta. In un mondo in cui la caratteristica principale della comunicazione è la mobilità, non solo immateriale ma anche fisica, è mancata una comunità mondiale che abbia saputo rispondere. Anche l’Oms non è riuscita a fare in modo che fin dai primi casi esplosi in Cina vi fosse una risposta a livello di sistema mondo. Non si può predicare una mondializzazione di merci e di spostamenti delle persone e far finta poi che il virus conosca i confini fra un paese e un altro, considerandolo alla stregua della peste del '600 o all'influenza dei primi del '900”. 

Questa pandemia sembra aver rivoluzionato la conoscenza, un “fare” non separabile dal “sapere”. Cosa ne pensa?

“Credo che, se vogliamo inquadrare bene il rapporto fra sapere e fare, dobbiamo renderci conto che è cambiato il paradigma. Il mondo oggi si sta trasformando con grande rapidità e c’è una dimensione sperimentale con cui noi dobbiamo conciliare il nostro modo di pensare e fare, ammettendo anche l’errore nello sperimentare. Ci troviamo in una situazione mai vissuta prima e quindi dobbiamo  sperimentarla. Noi continuiamo a 'pensare' in maniera vecchia e quindi rischiamo di 'fare' in maniera sbagliata, rispetto ai grandi cambiamenti in cui siamo immersi. La comunicazione è oggi molto inadeguata a quello che sta accadendo: importante è la relazione fra la comunicazione organizzativa interna degli enti, delle aziende - pensiamo agli ospedali - e la comunicazione verso l’esterno; il rapporto fra queste due aree sta infatti cambiando”. 

Qual è il ruolo giocato dalle tecnologie, in questo momento?

"Parlare di nuove tecnologie oggi non vuol dire soltanto parlare di sistemi di automazione intelligenti' che permettono lo spostamento, la comunicazione velocissima di informazioni, di conoscenze, di merci, di persone in tutte le parti del mondo. Queste nuove tecnologie sono gli strumenti che ci mettono in mano la possibilità di trasformare il mondo come mai era accaduto prima nella storia del genere umano. Di modificare la realtà in tutte le sue dimensioni, da quella infinitamente piccola a quella infinitamente grande; di rivoluzionare la struttura profonda della vita umana, nei suoi aspetti biotici e abiotici. Il Coronavirus non sarà certamente nato in un laboratorio ma è il prodotto della progressiva trasformazione di questo mondo. Per millenni l'uomo ha cercato di cambiare a suo vantaggio l'ambiente naturale: questo ha permesso di raggiungere dei livelli di vita solo pochi secoli fa inimmaginabili. Ma l'uso di questa forza trasformativa, rivoluzionaria, va orientato, indirizzato, ha bisogno di un progetto, se non si vuole che prima o poi lo si rivolga contro di noi. Su quali valori vogliamo costruire la nuova casa che si chiama Terra? Come deve essere il nuovo cittadino planetario? Abbiamo paura delle nuove tecnologie, dei robot. Per questo li  veneriamo, li idolatriamo".

Invece?

"Io credo che la vera paura sia la paura del robot che stiamo coltivando dentro di noi, vittime responsabili di una pessima cultura della scienza e delle tecnologie La pandemia del Coronavirus dovrebbe farci capire, come dice la stessa parola "pandemia", di origine greca, che significa "di tutto il popolo", che siamo un solo popolo. Quale sarà la comunicazione di questo popolo di cui siamo ormai parte senza saperlo o senza volerlo ammettere?".

Già, quale? 

"Questo virus ci sta dicendo che l'infinita, meravigliosa varietà, diversità che è la forza della nostra umanità, ha costruito una casa comune. Tutti diversi eppure uniti da un progetto comune in cui la  diversità, la complessità è una risorsa pressoché infinita. Quanta umanità in questa prospettiva. La vera malattia, quindi, del nostro sistema è la Comunicazione: il COVID-19 è un sintomo chiaro di questa patologia comunicativa. Saremo in grado di capirlo?".

Lei considera il coronavirus come un’imperdibile occasione, al pari del cambiamento climatico e delle migrazioni epocali, per progettare un mondo migliore. Con quali strumenti?

“Mi faccia rispondere con le parole di un poeta che è tornato popolare, grazie ad un grande attore, Benigni: " canoscenza". Sono versi di Dante. Nel delirio comunicativo di queste settimane mi pare di scorgere un bisogno forte delle persone di comunicare per comprendere, capire, conoscere. Ne va della loro vita e di quella delle persone che amano. E' un ritorno non più becero, grossolano, volgare della comunicazione alla realtà delle cose, al valore 'alto' della vita quotidiana che mi pare molto importante”.

Quali le attività e gli obbiettivi del vostro Centro per la Comunicazione Generativa?  Quest’emergenza come ha influito sul vostro lavoro?

“Lavoriamo più di prima. E’ chiaro che quando noi ci occupiamo di agricoltura, mobilità - vari i nostri progetti smart cities – di salute, di ridare valore ai medici di base in un rapporto diretto, “fisico” col paziente, dell’importante distribuzione sul territorio regionale di tanti servizi sanitari spesso non conosciuti dai cittadini, senza loro colpa, riscontriamo un sistema di comunicazione che non funziona. In questi giorni avvertiamo che non viviamo una comunicazione di crisi ma una crisi della comunicazione e noi cerchiamo di dare un contributo attraverso la nostra metodologia che tende a trasformare i problemi in risorse, sempre e comunque”.