Banchini: "Voglio un’Aquila sempre all’attacco"

Il tecnico giramondo deciso a trasferire ai rossoblù la sua grande esperienza. In panchina in Albania ed anche in un’isola dell’Oceania

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di Giustino Bonci

Non c’è uomo più completo di chi ha viaggiato e l’aforisma calza a pennello a Marco Banchini che dall’8 dicembre ha ereditato da Roberto Malotti la panchina dell’Aquila. Lombardo di Vigevano, 42 anni, è descritto sul web come un giramondo, sempre pronto ad accettare nuove sfide ai quattro angoli del pianeta. E a due giorni dallo scontro diretto di Olbia, l’allenatore dei rossoblù, convinto che per migliorarsi occorra coniugare prima di tutto il verbo "conoscere", si racconta a 360 gradi, lui che ha lavorato (e vinto) in Italia, in altri paesi europei e persino agli antipodi.

Banchini, le piace la definizione di trainer globetrotter?

"In fondo sì, per le esperienze fondamentali vissute all’estero fin dal 2013, da quando a Durazzo, in Albania, ho guidato il Teuta. Siamo arrivati terzi in A, mancando solo per la differenza reti il preliminare di Europa League. Poi nel 2014 la chance di prendere il timone dell’Amicale, nelle Isole Vanuatu". Una realtà lontana dalle nostre latitudini. Come nacque il rapporto?

"L’arcipelago si trova in Oceania e il trasferimento fu favorito dall’amicizia con Vince Colagiuri, direttore sportivo della Marconi Stallions di Sidney conosciuto nel 2005, all’epoca in cui collaboravo con il Milan. Mi offrì di allenare in Australia, ma nella trattativa si inserì l’Amicale, club importante del Pacifico e a presidenza cinese. Ci accordammo, portai diversi calciatori della nostra Serie C e vincemmo campionato e Coppa nazionale, qualificandoci per la Champions League continentale. La Gazzetta dello Sport mi dedicò alcuni articoli. Ero il primo e il più giovane mister italiano a disputare quella manifestazione".

Quali sono state le tappe ulteriori della carriera?

"Nel 2015 ho proseguito la mia ricerca a Malta e quindi ancora in terra albanese, al Laçi, perdendo soltanto 5- 4 ai rigori la Coppa d’Albania, nel 2016. Di pari passo allargavo la rete di contatti con colleghi dei cinque continenti, confrontandomi con metodi di allenamento e culture differenti, anche degli atleti, spesso provenienti da altre discipline".

A quale idee si ispira e come sarà l’Aquila che ha in mente?

"Credo nell’organizzazione unita alla componente agonistica. Per raggiungere, però, dei riferimenti per me assoluti come Sacchi o Bielsa bisogna passare da Conte o Simeone. Ovvero sapersi sporcare, sperimentare la sofferenza senza rinunciare, peraltro, a un calcio proattivo che anticipi le mosse degli avversari. Vorrei costruire, insomma, un Montevarchi che sappia bene cosa fare in campo, stia lontano dalla propria porta, pressi in maniera ostante e sfrutti al meglio le corsie esterne. Per questo sto conoscendo uno per uno i ragazzi e le loro caratteristiche. Sarebbe illogico che imponessi a priori i miei principi. Ci vuole un giusto mix tra il proprio modello di riferimento e le qualità della rosa".

Com’è maturata la decisione di accettare la proposta dell’Aquila e cosa si augura che la squadra recepisca al più presto?

"Ci siamo incontrati con il direttore Rosadini, il presidente Livi e l’amministratore delegato Romei e, dopo la fine del rapporto con la Vis Pesaro, per difformità di vedute, mi sono sentito subito coinvolto. Qui non mancano entusiasmo e strutture per far bene e posso contare su uno staff di valore, completato dagli arrivi di Binotto e del professor Bulletti. Confido, infine, che gli aquilotti diventino sempre più autoesigenti. Personalmente sono il primo critico di me stesso ed è proprio la volontà di migliorarsi sempre, di stare uniti, organizzando l’imprevisto, che devo trasferire ad un team deciso a tenersi stretta la Lega Pro. Abbiamo davanti mesi difficili ma ce la faremo".