Cieca e sorda a 29 anni: scrive un libro. Un fantasy per sfidare la sua malattia

La "battaglia" di Valentina Brancadori: comunica col palmo delle mani. Laureata in biotecnologie per cercare una terapia. Presenta con l'Unitalsi nella Sala dei Grandi "Un volo di follia"

Valentina Brancadori con i volontari dell'Unitalsi

Valentina Brancadori con i volontari dell'Unitalsi

Arezzo, 19 aprile 2018 - Nella sua città immaginaria di Duccaforts la neurofibromatosi di tipo II neanche esiste. Più che una città è una roccaforte inespugnabile, di quelle che solo il fantasy riesce a costruire. Ma la malattia passa lo stesso: attraversa come un fiume carsico le pagine del suo libro come quelle della sua vita. E lei ha imparato a darle del tu. Lei, Valentina Brancadori: ha 29 anni ed è cieca e sorda. Chi vuole comunicare le traccia le lettere sul palmo della mano: e lei le ricostruisce e capisce.

Una malattia degenerativa, di quelle che ti danno il tempo per assaggiare il meglio del mondo e poi anche per perderlo. Ma alla quale non si è mai arresa. Proprio come Giampi, il protagonista del suo libro. «Un volo di follia»: lo ha elaborato riversando idee, scene, capitoli su un sintetizzatore vocale, quegli strumenti che la tecnologia a volte offre per vivere meglio. Pagine su pagine, che poi altri ha riversato su carta. Il babbo le ha recuperate e trascritte.

E con lui un gruppo di studenti del Liceo Scientifico, guidati da Alessandra Ferruzzi, una prof di filosofia con il coraggio di andare oltre il programma: insieme le hanno con delicatezza riviste, ma sempre guidati da lei per ogni scelta, virgola dopo virgola. Del resto sarebbe impossibile il contrario.

Da quando ha 11 anni lotta con quella malattia che è inesistente solo a Duccaforts: e che le ha tolto piano piano la vista e l’udito. Ma in mezzo ci ha messo di tutto: le route scout, la scuola, l’università, ora un libro. Si è laureata in biotecnologie, con una tesi collegata alla sua malattia, come in un estremo sforzo non solo di darle del tu ma anche di provare a domarla. Intorno a lei, oltre alla sua famiglia, un gruppo di amici veri e i volontari dell’Unitalsi. «Ci siamo presi a cuore – racconta Mirella Ricci, la presidente aretina – questa avventura da anni».

E sabato saranno intorno a lei: nella Sala dei Grandi (e dove sennò?). Intorno il presidente della Provincia, l’assessore regionale Ceccarelli, la vicepresidente del consiglio regionale Lucia De Robertis. Ma anche la sua squadra: dai ragazzi del liceo a quanti nel libro ringrazia uno ad uno. Il libro è la sua vita filtrata attraverso il suo genere preferito, il fantasy.

L’odissea delle corsie di ospedale e degli interventi chirurgici, alcuni dei quali durissimi, fatti dagli undici anni fino ad oggi: qui appaiono come i nemici in un medioevo alternativo, dove i buoni i hanno il volto di Oreste, sorta di guida per la libertà, e i cattivi o quasi quello di Cornelius, schiavo dell’opinione che gli altri hanno di lui. Lui Giampi, il protagonista del libro, e insieme di lei Valentina, che appoggia il suo fardello sulle spalle del personaggio.

Ha elaborato quelle pagine in momenti diversi, sempre ricordandosi dov’era arrivata perché il racconto continuasse a fluire. Un racconto affidato a smartphone, computer, tablet e poi ricomposto come un puzzle. Quella malattia dal nome impossibile le continua a togliere piccole e grandi libertà: l’ha costretta a interrompere gli studi, non le consente più quelle grandi camminate che amava fare. ù

«Mai arrendersi» scrive nelle dediche dellibro: ma è quasi superfluo, perché in realtà è la parola d’ordine che traspira da ogni frase. «Sono entrata per la prima volta in un reparto di neurochirurgia a undici anni e il mio desiderio più grande era di fuggire e tornare a casa, alla mia vita».

Ma in realtà non è fuggita mai, neanche nei momenti peggiori. E perfino la sua cittadella medievale ha i contorni della realtà, come sospesa tra il sogno e l’immaginazione. «Basta davvero poco per essere felici» scrive nell’introduzione al suo libro. Lo scrive lei, ormai cieca e sorda: e chi legge quasi si imbarazza di averne dubitato, mille e mille volte.