MARCO CORSI
Cronaca

Va in missione in Antartide: "Freddo e luce vere insidie"

L’esperienza di Niccolò Martini, 27 anni ingegnere ambientale di Montevarchi. Tra i ricordi più belli, le settimane scandite dalla pizza il sabato e la gente.

La spedizione in Antartide di Nicolò Martini (foto Università di Bologna)

La spedizione in Antartide di Nicolò Martini (foto Università di Bologna)

Si chiama Niccolò Martini, ha 27 anni, è nato a Montevarchi ed è ingegnere ambientale. Recentemente è tornato dalla sua missione di due mesi in Antartide, nella Terra Vittoria Settentrionale, presso l’Osservatorio Geodetico Italiano, che svolge un ruolo fondamentale nello studio della Terra.

Il giovane professionista ha conseguito la laurea triennale all’Università di Firenze e poi la magistrale sempre in ingegneria ambientale all’Università di Modena, ed è partito per nei mesi scorsi, durante l’estate antartica. Ha infatti preso parte ad un progetto di ricerca promosso dalle Università di Modena e di Bologna. La missione, giunta alla sua quarantesima spedizione, riguardava lo studio della crosta terrestre e le sue deformazioni. Questo, infatti, è uno dei pilastri centrali della geodesia, ovvero la scienza che si occupa di determinare la posizione dei punti di riferimento sulla superficie del globo. Vengono verificati e monitorati eventuali spostamenti della crosta terrestre (come quelli causati dai terremoti, dai vulcani o da altri fenomeni geologici). La geodesia, inoltre, utilizza strumenti come il Global Navigation Satellite System, radar, laser e altri strumenti per misurare con precisione la posizione di punti sulla superficie della Terra e studiare le deformazioni della crosta terrestre o gli spostamenti delle placche tettoniche. "In altre parole – spiega Niccolò Martini – l’obbiettivo della missione era quello di monitorare una rete di sistemi GNSS sparsi per l’Antartide che indicano la tettonica di queste regioni.

Questo studio è centrale per determinare e per ricostruire la forma del geoide della Terra, così che si possa ricostituirla con precisione, monitorando nel tempo gli spostamenti delle placche tettoniche.". Non è stato facile abituarsi al clima del nuovo continente, con luce perenne e temperature che oscillavano tra i -20°C e +1°C. "All’inizio – racconta Martini – è fastidioso vedere la luce del sole tutto il giorno, notte inclusa. Ad ogni modo c’erano tradizioni fisse che ci aiutavano a scandire il tempo. Il sabato sera, ad esempio, era sempre la serata della pizza e tenevamo il conto delle settimane che passavano attraverso le pizze mangiate. Così facendo sapevamo se eravamo lì da due o tre pizze, e quindi da due o tre settimane".

L’Antartide per Martini non è stata solo studio e lavoro, ma anche un luogo magico in cui ha potuto vivere un’esperienza irripetibile. "Il ricordo più bello che ho - spiega - riguarda i mezzi di trasporto con cui ci muovevamo - elicottero, motoslitta, pick up - e l’emozione scaturita dal viaggiare per ore su queste terre desolate. È inspiegabile la sensazione che si prova nel guardarsi intorno, immersi in un bianco accecante e nel silenzio più profondo. L’altro bellissimo ricordo che mi porterò sempre con me – conclude l’ingegnere valdarnese– riguarda le persone che ho incontrato. Nella base italiana Mario Zucchelli eravamo circa settanta, tutti con ruoli diversi che spaziavano dai medici, agli scienziati, ai pompieri e ai cuochi. Gli spazi erano davvero limitati e quindi ci siamo sentiti subito una grande famiglia." La spedizione è stata finanziata dal Ministero dell’Università e della Ricerca, guidata dal CNR e gestita nella parte logistica da ENEA, l’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile e dall’ Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale.