
Thevenin, una suora dalla parte degli orfani. Il suo impegno per aiutare le donne in difficoltà
Santori
Tutti ad Arezzo conoscono l’istituto Thevenin ma non tutti sanno che questo straordinario e meritorio istituto educativo e orfanotrofio prende il nome dalla fondatrice, una suora dell’ordine delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, suor Gabriella Thevenin della quale ricorreva l’anno scorso il bicentenario della nascita. Fra i grandi personaggi che si son fatti aretini di adozione occupa un posto di primissimo piano questa donna francese che ha inciso profondamente, pur rimanendo nell’ombra, sulla vita degli aretini, o meglio soprattutto delle aretine, come vedremo, onorando nella maniera più piena ed efficace la caratteristica fondamentale dell’ordine: l’assistenza ai poveri con una particolare attenzione per la condizione femminile (appunto con l’orfanatrofio), e per l’infanzia con l’altra sua grande creatura: l’Asilo "Aliotti" che fu inaugurato il 5 febbraio 1861 alla presenza dell’allora principe ereditario, poi re d’Italia, Umberto I di Savoia. Ma facciamoci da capo.
La ragazza, cui era stato dato il nome di Reine Françoise, spinta da una forte vocazione, entrò nelle Figlie della Carità nel 1848 col nome di Suor Gabriella e giunse ad Arezzo come superiora (Suor Servente, come allora si diceva) nel 1861 col compito di creare appunto l’asilo infantile di cui la città, unica in Toscana, era priva. Le persone di una certa età, come chi scrive, ricorderanno queste benemerite suore per il caratteristico abito blu scuro (in Francia l’abito era grigio e le suore erano note come "sœurs grises") e per l’ancor più caratteristico copricapo a larghe tese, la "cornetta", già in uso tra le contadine di Parigi, della Piccardia e del Poitou, le cui ali divennero sempre più larghe e inamidate, tanto che le suore erano affettuosamente chiamate, specialmente nell’ospedale dove prestavano servizio, "cappellone" (dopo il Concilio Vaticano II, aderendo ad un invito di Paolo VI, la casa generalizia, che ha sede a Parigi in Rue du Bach, nel 1964 semplificò l’abito adottando il colore blu scuro ed abolendo del tutto la "cornetta"). Dell’asilo c’era veramente bisogno, tanto è vero che si dovette fissare un numero massimo di 130-140 bambini di entrambi i sessi, di età compresa fra tre e sette anni, per quanto ci fosse la disponibilità di una sola aula e di una sola stanza adibita a refettorio.
Ma suor Gabriella, dimostrando fra l’altro una spiccata capacità imprenditoriale, aprì la scuola anche ai figli della borghesia e nobiltà aretina, naturalmente a pagamento, destinando i proventi delle rette al finanziamento degli studi e all’apprendimento di un mestiere per i bambini poveri: un’operazione di alto valore sociale nel campo della solidarietà, nelle migliori tradizioni di una città che vantava fin dal XIII secolo (e anche da prima) un’organizzazione come la Fraternita dei Laici. Di più: quando il Comitato degli Asili deliberò l’espansione dei servizi offerti, acquistando all’uopo un’ulteriore area dell’ex convento adiacente alla chiesa di Santa Maria in Gradi, suor Gabriella non esitò a mettere a disposizione beni personali per acquistare una parte dell’orto parrocchiale. Alto valore solidale e sociale, dicevo, dell’opera di suor Gabriella perché svolta unicamente nell’interesse della città, al di sopra delle parti, dell’appartenenza e del credo religioso.
"Venne ad Arezzo - spiega Italo Farnetani, suo principale biografo, in un articolo pubblicato su Notizie di Storia - chiamata da un comitato espressione della volontà della società civile del tempo. Le suore infatti svolgevano un’azione di carità che era insita nel carisma della loro congregazione, ponendo in essere un’azione aperta e a vantaggio di tutte le persone della città, con un servizio scolastico ed educativo, che in pochi anni Suor Gabriella Thevenin estese alla tutela delle orfane, cioè delle persone più deboli e fragili". Si trattava, come si può vedere di un progetto avanzato di intervento sociale assolutamente innovativo perché fondato sull’idea che solo la formazione lavorativa avrebbe permesso alle ragazze e alle adolescenti fragili di potersi realizzare autonomamente grazie alla possibilità di accedere a un vero salario, unica arma, insieme con la scolarizzazione, per la conquista di una certa libertà personale. Quanto ciò fosse innovativo, e in certo qual modo futuristico, si comprende riflettendo che all’epoca le donne non potevano spendere nemmeno il denaro guadagnato col loro lavoro senza il "permesso maritale": invece le direttive di questa suora, in qualche modo vera femminista ante litteram, prevedevano la ripartizione degli utili derivanti dagli introiti dei manufatti, in modo che anche le donne imparassero a gestire il denaro guadagnato.
"Suor Gabriella - spiega ancora Farnetani - nello spirito del movimento che, partito dalla Francia, si stava diffondendo in Europa, teso a promuovere una sempre maggiore attenzione alla protezione di donne e bambini, ritenne di affiancare alla gestione dell’asilo una struttura che accogliesse e ospitasse le ragazze orfane". È questo un altro dei grandi meriti storici di suor Gabriella: aver salvato innumerevoli bambine orfane e povere dalla prostituzione che era allora particolarmente diffusa in Arezzo, come del resto in tutta Italia.
Di questo e di altro Farnetani parlerà mercoledì 19 alle ore 18 alla Casa Museo Ivan Bruschi, illustrando la mostra dei dipinti restaurati della collezione Subiano di Casa Thevenin.