Fiera: il centro tiene, il Prato no

Buon afflusso sul percorso storico Vuoti nel parco. Un calo di banchi

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di Alberto Pierini

EZZO

Il libraio appollaiato in cima al Corso, gomito a gomito con la storica vetrina del Grilli, pochi metri sotto il Canto de’ Bacci somiglia maledettamente a quello di via Guido Monaco. Se non altro perché è lo stesso. Lui, preso dal suo stand all’angolo delle Poste e trapiantato pari pari nella via dello shopping. I colleghi di Guido Monaco suggeriscono ai suoi clienti dove trovarlo, lui non trova l’angolo per la sdraio ma in fondo lavora.

E con lui gli altri banchi sul Corso, uno degli esperimenti di giornata, forse il più riuscito. In una Fiera che per essere agosto e un agosto quasi senza stranieri in fondo regge bene all’impatto. L’afflusso a tratti è discreto, superiore a quello di altre estati. I banchi calano: sono talmente spalmati dappertutto che hai l’impressione opposta ma gli organizzatori dicono 215. Forse sono un po’ di più, sicuramente meno dei 245 di un anno fa.

La Fiera ritrova il centro, e con quello la sua anima, ma perde la sua unità. Le due Fiere viaggiano parallele: in linea con la scarsa dimestichezza aretina alla segnaletica quasi niente e nessuno ti aiuta a ricucirle. E chi paga il prezzo più doloroso è il Prato. Perché regala qualche fiammata di pubblico ma in generale le presenze vanno a picco.

Il vecchio percorso si difende: anche se poi fatichi a districare i clienti dei saldi di passaggio dagli appassionati veri dell’Antiquaria. Ma poi gli estremi si toccano e finisce che l’uno porta fieno all’altro. Via Guido Monaco su una fila sola fa impressione, è l’ingresso e il biglietto da visita della Fiera, sembra che un machete sia calato a spaccarla come una noce di cocco. Ma vanno quasi peggio le piazze.

San Francesco e piazza Grande vedono saltare tutti gli equilibri. I locali monopolizzano gli spazi: non per colpa loro, certo, ma la nuova ripartizione così non va. A San Francesco di banchi ne restano 3 barra 4: e fatichi a capire se la Fiera finisca lì o riparta. In piazza Grande i tavoli dilagano, sul mattonato e sulla terrazza di Fraternita. Le Logge sono troppo diradate di banchi, perdono quell’atmosfera magica che ne ha fatto da sempre la foto di copertina dell’evento. I ristoranti rinunciano all’unica fila di tavoli sotto le Logge, ne trovano a volontà fuori. Ma è un’altra piazza, vivace come ogni weekend però lontana anni luce da quella della Fiera. E alimenta i malumori degli espositori, che si vedono sacrificati su troppi altari e perdono per l’ennesima volta la priorità acquisita.

Piazzetta del Commissario, indicata come alternativa per gli sfrattati delle Logge, è totalmente disertata, nessuno se la fila. Qualche spuntista con l’occhio lungo riesce a ritagliarsi un posto nel centro, qualche titolare forse troppo arrabbiato ripiega sul Prato e si mangia il fegato. Tutti ti dicono la stessa cosa: nessuno ci ascolta, nessuno ci consulta, arrivano solo le Pec per gli ordini, spesso anche tardi. E si sentono tirati da tutte le parti: i negozianti ti invitano a parlare con quelli che preferiscono il centro, i ristoratori con chi tornerebbe al Prato.

Un clima nel quale sciupiamo l’abbrivio: perché ci sono Fiere ancora a palo, la solita Pissignano ha tagliato via 300 espositori, qui potremmo tornare un punto di riferimento quasi come trent’anni fa. Intanto l’ultima moda di agosto sono le barriere di cemento armato: parallelepipedi messi incrociati agli ingressi per "parare" eventuali attentati stile Nizza. Due all’altezza di San Michele, altri due a Guido Monaco e a via Ricasoli. Gremita piazza del Comune, un po’ rarefatta piazzetta Madonna del Conforto: durante le lunghe trattative per il rientro in centro era stata indicata come una zona rossa per gli assembramenti. Ieri al top della calca ospitava al massimo dieci persone: inconsapevoli di essere così pericolose.