Morte di Velia e Maddalena, parla Maria: "Vado in carcere da innocente"

Lo sfogo dell’ex badante, coinvolta nel caso Remorini: «Lotterò dalla mia cella»

Il luogo dove hanno vissuto segregate Velia e Maddalena

Il luogo dove hanno vissuto segregate Velia e Maddalena

Viareggio, 23 aprile 2017 - Respirare la primavera. Ascoltare il mare, prendersi l’abbraccio del sole ad occhi chiusi. Ha provato ad agguantare tutto, tutta la libertà che ancora le è concesso vivere. Prima che arrivi l’ordine di carcerazione; e ormai è questione di ore. Ieri Maria Casentini ha camminato fino in cima al molo, «l’idea che da un momento all’altro vengano a prendermi per portarmi in una celletta 20 per 20, chissà dove, mi distrugge». Ancora non riesce a crederci.

IL SUO mondo si è fermato mercoledì sera. «Ero convinta che i giudici avrebbero capito, sicura di uscire una volta per tutte da questa storia». Invece alle 22 è arrivata la telefonata del suo avvocato, Eriberto Rosso. Per la giustizia Maria Casentini è corresponsabile, insieme a Massimo Remorini condannato a 38 anni, del sequestro e della morte di Velia Carmazzi e Maddalena Semeraro. Per questo dovrà scontare una pena a 16 anni di reclusione. «Vado dentro da innocente» dice e ripete continuamente. Un filo di voce, fragile come il cristallo, che si incrina appena pensa al futuro. «Io non ho fatto nulla, lo giuro su ciò che ho di più caro».

La sua famiglia, i tre figli. Che da quando è rimasta vedova Maria ha cresciuto da sola. E poi i nipoti. «Al più grande ho voluto spiegare ciò che sarebbe successo. E mi creda – racconta –, è stato il momento più duro da affrontare». Ai piccolini solo una mezza verità. ù

«Gli ho detto che sarei stata fuori per un po’. Che la nonna doveva andare a lavorare lontano. Loro passano come tutti i pomeriggi con me. Non riesco a pensare all’idea che da un giorno all’altro, da un momento all’altro, debba lasciare tutta la mia famiglia. Questo è ciò che più mi addolora». Intorno a Maria si muove il via vai della Passeggiata. Che ignora i suoi tormenti.

«Ciò che in queste ore mi dà conforto – prosegue – sono gli amici, invece di abbandonarmi mi sono stati ancora più vicini». 2010, quando David Paolini denunciò la scomparsa della mamma e di sua nonna , non vuole parlare, «non ho mai cercato visibilità, non lo farò ora». Conobbe Remorini da piccola, i due erano vicini di casa al Varignano. Poi nel 2009, proprio Massimo Remorini, le chiese di occuparsi di Maddalena. Divenne così la sua badante. Per un periodo ha vissuto anche nella casa di proprietà delle due donne in via della Catene a Torre del Lago. Venduta per poco.

E quando Velia e Maddalena si trasferirono a Sagromigno era proprio Remorini ad accompagnarla fin là per accudirle. Infine l’ultima «casa», il campo di via dei Lecci che passerà alle cronache come il campo degli orrori. Dove madre e figlia sono rimaste segregate a morte. «Io – si limita a dire oggi Maria – quel campo l’ho frequentato poco».

Da allora sono passati 7 anni e 3 processi. Tutti chiusi con una condanna a 16 anni. «In questi anni, un pezzo per volta, ero riuscita a ricostruirmi la vita. Forte dell’appoggio delle persone che mi vogliono bene». Ha faticato, poi però è arrivato un posto di lavoro sicuro come cameriera ai piani di un piccolo albergo. «Mi riprenderebbero a lavorare anche domani – dice sicura –. E io credo ancora nel domani. I miei figli faranno di tutto per dimostrare la mia innocenza. Io stessa dal carcere studierò. Sono innocente, e lo dimostrerò».