Filippo Timi a tutto volume: «Ecco il mio varietà in musica»

Da «Tadà!» a «Una casa di bambola»: le nuove sfide a teatro e in tv dell’attore perugino

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Perugia, 11 febbraio 2016. CI MANCAVA proprio un mini varietà musicale dal gusto retrò per rendere ancora più ricca e fragorosa la carriera di Filippo Timi. Perché da lunedì 15 l’attore, regista e scrittore perugino debutta come conduttore di «Tadà!», nuovissimo programma in rigoroso stile anni ’60 in onda su Deejay Tv (canale 9 del Digitale, 145 di Sky) ogni sera alle 21.10, fino a venerdì 19.

MONOLOGHI non-sense, danze scatenate e grandi pop star come ospiti in studio sono gli ingredienti dell’avventura che arriva sul piccolo schermo mentre Timi sta trionfando in teatro a Milano con «Una casa di bambola» (dove interpreta tutti i ruoli maschili del capolavoro di Ibsen), dopo il successone su Sky de «I delitti del BarLume». E in attesa dell’uscita a primavera di «Questi giorni», di Piccioni, dove recita con Margherita Buy.

Allora, cos’è Tadà?

«Sono cinque puntate da 7 minuti a 45 giri. E’ un oggetto misterioso, paradossale, veloce...».

E come nasce?

«L’idea è di Massimo Martellotta: riproporre un programma in stile anni ’60, scegliendo le prerogative più belle delle trasmissioni che hanno fatto la nostra storia: bianco e nero, umorismo mai volgare e un corto circuito dato dal senso dei contenuti espressi. Però non è un lavoro di recupero, ma di invenzione e creazione».

E i super ospiti? Come li avete convinti?

«Ce n’è uno a puntata: Nina Zilli, Neffa, Malika Ayane, Elio e Marco Mengoni, duettano con me nelle loro interpretazioni personali di grandi hit di quegli anni. Li ho chiamati, ho proposto l’idea, hanno accettato subito».

E’ un ruolo inedito...

«Faccio il conduttore, che sa cantare e ballare, perché è la cosa più vicina all’attore, ma certo non lo vedo come un nuovo lavoro».

Intanto a teatro c’è il super impegno di «Una casa di bambola..

«L’idea forte dello spettacolo diretto da Andrée Ruth Shammah è di capovolgere l’interpretazione classica che ne fa un simbolo del femminismo. Nella nostra rilettura le colpe non sono solo del marito e questo stravolge l’equilibrio dello spettacolo, lo emancipa. Nessuno ha torto o ragione, quando finisce un amore perdono tutti».

Tre ruoli tutti in una volta. Come si fa?

«Fare uno spettacolo è lanciarsi da un trampolino, qui conta la rincorsa, è come saltare in volo da un’ala di un aereo all’altra, è un brivido assoluto, basta non guardare giù e andare veloce. Ecco cosa dà il senso, i tre personaggi diventano tre aspetti dell’uomo».

Tra i progetti in arrivo ci sarà ancora il ‘BarLume?

«Spero proprio di sì, la serie funziona per la sua umanità e il suo equilibrio, noi ci divertiamo molto, il regista ci mette energia e gioia».

E Perugia dove resta?

«Nel ceppo del donca che per fortuna mi esce di tanto in tanto, ci vuole sempre un tronco fermo e io me lo porto dietro, senza non sarei più me stesso. Per quanto un albero possa andare lontano, la radice, il germoglio restano sempre lì».

di SOFIA COLETTI