Prove Invalsi, scioperi e cortei

Proteste dei Cobas. L’intervento: «Non ingabbiate le idee»

Due studentesse dvanti ai quadri (foto d’archivio)

Due studentesse dvanti ai quadri (foto d’archivio)

Pisa, 11 maggio 2016 - Si avvicinano gli Invalsi nelle superiori e, come sempre, sono previste proteste. Scioperi e manifestazioni in tutta la provincia. I sindacati di base hanno indetto una giornata di mobilitazione. «Lo sciopero dell’intera giornata si carica di molteplici significati: oltre ad esigere la cancellazione dei quiz Invalsi, sciopereremo contro la 107, il premio di “merito”, la chiamata diretta da parte del preside per incarichi solo triennali, l’obbligo di alternanza scuola-lavoro di 200 ore nei licei e di 400 nei tecnico-professionali, l’accordo sulla Mobilità, che colpisce in particolare gli insegnanti della “fase C”. E, mentre il rinnovo del contratto nazionale giace immobile da quasi sei anni, chiederemo un significativo aumento salariale per docenti ed Ata. L’assunzione di tutti i precari/e abilitati o con 360 giorni di docenza, l’aumento del numero dei collaboratori scolastici, assistenti amministrativi e tecnici, lo sblocco immediato delle immissioni in ruolo per tutti i profili Ata», spiega Giovanni Bruno (Cobas).

Giovedì 12 maggio «manifesteremo insieme, studenti e insegnanti, personale Ata e genitori , con un corteo che partirà da piazza XX Settembre (Logge di Banchi davanti al Palazzo comunale di Pisa) e si snoderà attraversando la città per concludendosi davanti all’Itis “Leonardo da Vinci” dove si terrà una assemblea aperta a tutta la cittadinanza», aggiunge Bruno.

Sull’argomento, i docenti sono divisi. Mentre, Francesca Padula, 49 anni di cui 43 passati sui libri: il “Dini”, la laurea in scienze biologiche, la specializzazione in piante officinali, le sue pubblicazioni dal 2005 ad oggi, il tutoraggio scolastico alle sue “bimbe della pallavolo” durante l’università, ai suoi figli, ed a i loro compagni di scuola, dal 2006: scienza e letteratura, discipline la cui conoscenza e la cui applicazione si compenetrano in lei fino a scontrarsi con la realtà scolastica di oggi, dalla poca pratica del corsivo in prima elementare all’incompletezza dello svolgimento di programmi di storia e geografia, pur risicatissimi, dalle “gabbie” formali dei temi, chiamati adesso testi, fino alle contestatissime prove invalsi, riflette: «Tema scottante quest’ultimo ed attualissimo di prove che dovrebbero servire alla valutazione della preparazione degli studenti contestualmente alla dimostrazione del buono o cattivo lavoro delle scuole. Per come sono strutturati, niente di più errato! Nelle prove di matematica praticamente nessuna domanda che faccia riferimento ai programmi svolti: tutti quiz di logica volti a far impazzire le connessioni neuronali, più che a dimostrare quanto uno studente abbia imparato. La reazione più immediata sia che a svolgerli sia uno studente oppure un adulto, già dopo poche domande è di tirare a rispondere a caso, tanto mandano in confusione ed innervosiscono. E quelle di italiano? A parte le domande di grammatica che sono le uniche ad avere un senso grazie al loro valore oggettivo (ma la grammatica la sapeva già molto bene chi ora ha dai 70 ai 40 anni pur non avendo mai fatto invalsi di sorta), le altre sono faziose e a trabocchetto. Quindi anche queste non servono per capire quanto si studia nelle scuole e quanto viene appreso».

«I professori – continua Padula – per correggere queste ultime hanno bisogno di griglie predefinite, proprio perché le risposte sono soggettive e gli autori stessi dei brani inseriti nei test darebbero sicuramente risposte diverse (sbagliate dunque) rispetto a chi li ha elaborati. Questo tipo di domande fa parte del nuovo modo di approcciarsi alla lingua italiana, la cosiddetta “comprensione del testo”: cosa è, che valore ha, che cosa significa? Già inscatolarla in una tale definizione è offensivo e pretenzioso: offensivo perché la comprensione di un testo, se si conosce la lingua, se è commisurato all’età in cui si legge e se il lettore non ha deficit intellettivi, è naturale ed ovvia; pretenziosa perché chi è che si può assurgere ad interprete di un testo, delle parole che sono state usate, se si prescinde dal contesto in cui è stato scritto e dall’autore? L’autore è l’unico interprete valido di ciò che scrive, chi legge lo reinterpreta in modo assolutamente personale. Infatti due sono le chiavi di lettura di ogni testo letterario: la contestualizzazione nel periodo (storico e personale) in cui è stato scritto (e in un’invalsi è impossibile) e l’altro è l’interpretazione di chi legge e questa varia con l’età, lo stato d’animo ed il suo vissuto».

«Tutto il resto è capzioso quanto inutile. Inoltre vuole ingabbiare, chiudere entro classificazioni e schemi, essenziali e necessari esclusivamente per le materie scientifiche, qualcosa che invece fa parte di un contesto artistico e cioè la letteratura, qualcosa che non può e non deve essere reso sterile da griglie di valutazione piatte ed amorfe. Tutto ciò si rifà alla nuovo modo di insegnare la disciplina delle lettere, che prevede non più il Tema, bensì i testi, argomentativo, narrativo, descrittivo, e quant’altro. Questo starebbe forse a significare che chi è andato a scuola prima che inventassero tale suddivisione non può, perche non saprebbe come si fa, scrivere un racconto, dissertare su un qualsivoglia argomento o raccontare un’esperienza di vita?.. Niente di più falso! Come la favola è suddivisa in pochi essenziali elementi fissi, ognuno dei quali però dà ampio spazio al volo dell’immaginazione e della creatività, così ogni buon tema, deve avere un’introduzione, uno svolgimento ed una conclusione. Null’altro. Perché ciò che si mette dentro deve rimanere libero. Il valore più profondo di un testo sta in come l’autore sia riuscito ad esprimere il proprio pensiero, ben articolato, esaustivo e comprensibile. Non si possono ingabbiare le idee! Come pure è artificioso insegnare già alle elementari a suddividere in sequenze un brano: è ridicolo! La bravura di un autore consiste anche nel modo in cui fa scorrere un discorso nell’altro in modo fluido, senza suddivisione netta in parti distinte e separate. A che serve dire: questa è una sequenza dialogata???».

«Se il dialogo c’è, è ovvio che lo sia! Ma essa può essere alternata a descrizioni e riflessioni, quindi tutta questa classificazione non ha senso. Voler rendere per forza schematico ciò che nasce libero (l’idea e la parola) è fortemente limitativo. Non si può mettere un brano di letteratura in una tabella di excel: non esistono colonne abbastanza grandi. Per uno scrittore il poter raggiungere le giovani menti è importantissimo, ma lo è in virtù del fatto che uno studente può leggere un brano per provare a capire ciò che l’autore ha voluto trasmettere e poi perché lo legge a modo suo, con la sua sensibilità, ritrovando quella o quell’altra emozione o anche non condividendola. Ma con tutte queste nuove sovrastrutture tutto ciò è impossibile! Se gli autori potessero porre il veto a questo barbaro utilizzo dei loro lavori, sicuramente lo farebbero. Mi chiedo come gli atenei di studi umanistici di tutto il paese non si siano rivoltati per opporsi a chi per la prima volta ha proposto un tale inscatolamento della letteratura e della lingua italiana! I ragazzi di oggi, la cui capacità espressiva è fortemente limitata da rapidi e telegrafici sistemi di comunicazione (social e chat) avrebbero bisogno di essere spinti a “volare” liberamente per poter esprimere al meglio ciò che hanno dentro. L’unica struttura solida di cui necessitano, come un palazzo per non cadere ha bisogno del cemento armato, è la grammatica. Tutto il resto sono limiti, confini, barriere, che ingabbiano le menti invece che stimolarle. A chi e a che cosa giova tutto ciò? Io davvero non lo so! E non so se mi sono spiegata, dato che ho scritto un testo argomentativo senza che mi abbiano mai insegnato a farlo… semplicemente a scuola ho imparato a scrivere!».