Caso Ragusa, per i social è "un delitto perfetto"

Logli condannato, sì, ma per ora non va in carcere e resta a casa con la compagna

Roberta Ragusa (Ansa)

Roberta Ragusa (Ansa)

Pisa, 22 dicembre 2016 - Le finestre e le porte della villetta bianca di Gello, nel comune di San Giuliano Terme, vicino Pisa, restano sigillate. Quasi murate. Per tutta la mattina. Solo dopo le 13, quando a qualche chilometro di distanza, il gup, Elsa Iadaresta, condanna Antonio Logli a 20 anni di carcere (con l’interdizione dai pubblici uffici, la perdita della patria potestà e l’obbligo di dimora dalle 21 alle 6 nei comuni di Pisa e San Giuliano) si aprono i cancelli. Ma è solo per fare entrare le auto degli avvocati difensori di Logli, Roberto Cavani e Saverio Sergiampietri, e per accogliere i carabinieri, arrivati a notificare l’ordinanza del Gup. Pochi attimi, poi tutto si richiude. In un silenzio ovattato.

Quel silenzio nel quale, da cinque anni, si è rinchiuso quest’uomo, dipendente della Geste (l’azienda municipalizzata dal Comune di San Giuliano). Mai una parola, mai un cedimento per quella donna, Roberta Ragusa, sua moglie, inghiottita nel buio di una fredda notte d’inverno (quella tra 13 e il 14 gennaio 2012, la stessa in cui la Costa Concordia si spiaggiava all’Isola del Giglio).

Cinque anni di silenzio incastonati in un sogghigno quasi beffardo. Quello che aveva stampato in volto la mattina del 6 marzo del 2015 quando il gip del Tribunale di Pisa, Giuseppe Laghezza, lo proscioglieva dall’accusa di aver ucciso la moglie e aver distrutto il cadavere. Un sogghigno che, ieri, ha preferito non mostrare. Né nell’aula del Palazzo di Giustizia, dove la gup Elsa Iadaresta ha ribaltato la decisione dello scorso anno (condannandolo) e nemmeno, uscendo dalla sua villetta alle porte di San Giuliano Terme. Anche i suoi legali restano in silenzio. Microfoni e taccuini sono orfani di qualsiasi frase.

Tutto l’opposto di quelli dei familiari di Roberta "ampiamente soddisfatti – spiegano – per una decisione che finalmente rende giustizia". Ma che, forse, alla fine suona anche un po’ beffarda nel suo epilogo. Degno di una serie televisiva da Criminal Fox.

Sì, perché come evidenziano i commenti sui social, alla fine quello di Logli è un delitto perfetto. Il cadavere della moglie non c’è e dimostrare che l’abbia uccisa resta quasi impossibile, lui non finisce in carcere perché il gup non ha accolto la richiesta del pm, Aldo Mantovani, che pure l’aveva motivata con le ragioni del pericolo della reiterazione del reato e di fuga, ma soprattutto resta nella sua casa in compagnia dell’amante, ormai da anni diventata compagna: Sara Calzolaio. E per giunta, senza la necessità di doversi prendere più cura della figlia quindicenne Alessia visto che, come pena accessoria, gli viene tolta la patria potestà.

Insomma, se voleva ‘liberarsi’ della moglie, senza fare i conti con una separazione onerosa (Roberta Ragusa – è emerso dai fascicoli dell’inchiesta – aveva scoperto la tresca con la segretaria dell’autoscuola nonché ex baby sitter dei figli), Antonio Logli c’è riuscito magnificamente. E, almeno, fino a quando (se mai lo sarà) questa sentenza diventerà definitiva, lui in carcere non ci finirà. Resterà in questa villa alle porte di Pisa, dove da oltre quattro anni ormai vive con la compagna e dove continuerà a stare, incurante di tutto il resto.

Cosa sono, alla fine, i discorsi dei vicini? Brusii che porta via il freddo gelido della sera. E per l’autore di un crime non resta che l’immagine finale, quella di sogghigno beffardo di Logli riflesso dal fuoco del camino. Mentre fuori, chissà dove, c’è il corpo di una donna che non potrà mai avere non solo pace, ma nemmeno sepoltura. Altro che Arthur Conan Doyle o Peter Nowalk. Questo è il vero delitto perfetto.

Federico Cortesi - Tommaso Strambi