"Il lavoro dopo il Novecento"

Jobact, disoccupazione, contratti di solidarietà, vouchers, partite Iva e flessibilità in entrata e in uscita, le trasformazioni dell'impiego nel libro di Alessio Gramolati e Giovanni Mari

La presentazione del libro

La presentazione del libro

Firenze, 25 maggio 2016 - Vent’anni fa il leader della Cgil Bruno Trentin pubblicava “La città del lavoro. Sinistra e crisi del fordismo”, un libro­programma che profetizzava la fine di un’era, col tramonto di quella concezione del lavoro pensato come organizzazione scientifica, che va sotto il nome di taylorismo.

In quel 1997 l’utopia aveva orizzonti più ampi degli attuali. E il grande sindacalista era convinto che molte conquiste fossero ancora possibili, a cominciare dal superamento delle «classiche distinzioni tra lavoro, opera e attività», lavoro manuale e lavoro intellettuale. In soli due decenni il nostro vivere contemporaneo - fra jobact, disoccupazione, contratti di solidarietà, vouchers, partite Iva e flessibilità in entrata e in uscita - è così trasfigurato che pare impossibile tentare una riflessione partendo dagli stessi presupposti di Trentin.

E invece si può. Anzì, è utile più che mai. Ne è convinto Alessio Gramolati, ex segretario generale della Cgil Toscana e oggi responsabile delle politiche industriali della Cgil nazionale. Alla luce di una nuova rilettura di quel testo, ritiene che «“La Città del lavoro”, l’idea cioè che la cittadinanza entri finalmente anche nei luoghi di lavoro debba essere un punto di ripartenza del sindacato di oggi».

Una convinzione sostenuta insieme al professor Giovanni Mari, ordinario di storia della filosofia all’Università di Firenze, il quale riporta la riflessione sulla “persona” «che il fordismo aveva rimosso dal lavoro e che oggi la rivoluzione in corso ripropone come protagonista di tutti i lavori, e che l’impresa e il sindacato possono trasformare in un “attore sociale” protagonista della costruzione di una società dalla civiltà più avanzata».

In un lavoro a quattro mani, Gramolati e Mari hanno curato il libro appena edito da Firenze University Press dal titolo “Il lavoro dopo il Novecento. Da produttori ad attori sociali," in cui 34 studiosi ed esponenti sindacali tornano a riproporre le tesi e le analisi della “Città del lavoro”. «Il risultato che ne emerge, per molti aspetti sorprendente – spiegano i due curatori – è la straordinaria ricchezza e capacità di indirizzo politico e sindacale del progetto di Trentin».

Ma che avrebbe detto oggi, per esempio, il segretario della Cgil del jobact? Secondo il professor Mari i risultati sono ancora incerti, così come i numeri dell’occupazione che sarebbero stati attivati: «Il jobact ha due aspetti – spiega Mari –: tende a rinnovare, ponendo anche certe tutele ma solo in linea di principio, con nuove forme di incontro fra offerta e domanda che sono interessanti. Ciò che conta è che la flessibilità che diventi solo precarietà. Mi sembra che per adesso molte cose si siano dette ma molte siano ancora da fare. I diritti vengono indubbiamente indeboliti. E credo che questo Trentin non lo avrebbe potuto accettare».

E il sindacato, che senso ha oggi? «Il sindacato è indispensabile per il funzionamento democratico della società – conclude il professore – . Una società non è migliore senza sindacato, lo riconosce ormai anche l’economia americana. Dopodiché, visto che sono passati pochi giorni dalla festa del Primo Maggio – dobbiamo ricordare che esiste una storia del lavoro. O meglio, un lavoro che ha costruito la nostra storia. Le conquiste del lavoro sono conquiste di tutta la società».

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