Sotto esame c'è l'Europa

L'editoriale del direttore de La Nazione Pier Francesco De Robertis

Pier Francesco De Robertis, direttore della "Nazione"

Pier Francesco De Robertis, direttore della "Nazione"

Firenze, 5 luglio 2015 - Si scrive Atene ma si legge Roma, o Berlino e Parigi, Madrid, fors’anche Londra. Si vota sotto il Partenone ma si scrutinano le schede in tutte le maggiori cancellerie del Vecchio Continente, Mosca compresa, e il referendum che oggi porterà alle urne sette/otto milioni di greci deciderà il destino di circa 500 milioni di europei, e noi tra questi. E come accade sempre per i grandi passaggi storici gli effetti di quello che verrà fuori dalla consultazione di oggi sfuggono a ogni previsione, sia che vincano i «sì» sia che prevalgano i «no». Ed effetti invitabilmente ci saranno, ad Atene e in Europa. Effetti finanziari per l’euro e geopolitici per tutto l’Occidente, se è vero che la Russia, e forse anche la Turchia, è descritta da tutti come molto interessata alla sorte della Grecia, e che dietro ai movimenti ellenici che alimentano il vento antieuropeo e chiedono di votare «no» ci sarebbero cospicui finanziamenti russi.

Se uscirà dall’euro il livello di povertà in Grecia salirà inevitabilmente, la qualità della vita diventerà simile a quella che c’è in Egitto, Tunisia e gli altri paesi del Maghreb e niente lascia pensare che Atene possa non finire nell’orbita di influenza russa. Non sarebbe un’annessione come per la Crimea ma poco di meno. Decretandosi in sostanza la fine non solo di un «sogno», quello europeo, e di un orizzonte che prima che politico ed economico è culturale, ma anche dell’assetto geopolitico uscito dalla guerra fredda. Ecco perché alla fine il referendum ci riguarda davvero da vicino, ecco perché ad Atene, oggi, si scriverà una parola importante anche per gli affari di casa nostra, a cominciare dal destino di tutti quei movimenti nazionali che della spinta antieuro hanno fatto la loro cifra distintiva.

Movimenti nati nella maggior parte dei paesi europei, che hanno sapientemente (dal loro punto di vista) raccolto la protesta e cavalcato la crisi economica (insieme a quella per la montante ondata migratoria) e messo in testa alla gente che la fine dell’euro non solo è possibile ma anche auspicabile, che potrebbe accadere senza apprezzabili effetti economici e che sarebbe ininfluente sotto l’aspetto geopolitico. Come se nel momento in cui le potenze mondiali si vanno assestando in blocchi planetari (la Cina, la Russia, gli Stati Uniti, il mondo islamico certamente frastagliato ma in qualche modo potenzialmente omogeneo, i paesi emergenti come India e Brasile) fosse possibile per stati di dimensioni ridotte come sono quelli europei trovare singolarmente un posto accettabile alla mensa del grande potere mondiale. Una follia solo pensarlo. ECCO perché al di là di tutto a noi italiani conviene più o meno palesemente fare il tifo perché la Grecia resti dentro l’Unione e non si stacchi verso il mare ignoto di una pericolosa solitudine economica e politica. Un’evenienza che neppure la Germania, pressata a est da un’Ucraina sull’orlo di cadere in braccia a Putin, può permettersi. Evitando lo strappo, tutto questo finirà per abbassare la guardia in fatto di rigore e di conti. Di necessità occorre ogni tanto saper fare virtù. La signora Merkel è una buona calcolatrice.

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