Un medico volontario nell'inferno del Burundi e il commento di Ascanio Celestini

La storia di Giuseppe Novelli, chirurgo per Medici senza frontiere tra pazienti feriti a colpi di macete e neonati abbandonati

celestini

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AREZZO 31 agosto 2015 - IL DIARIO di un medico volontario in Burundi e il valore che l'Archivio dei diari di Pieve ha per la memoria nazionale raccontato dall'attore e scrittore Ascanio Celestini per la presentazione degli otto diari finalisti del Premio Pieve a cui La Nazione sta dedicando otto pagine speciali in attesa dell'anteprima che si terrà ad Arezzo il 4 settembre alle 17,30 nel giardino pensile della Provincia e in attesa del Premio Pieve che si terrà dal 18 al 20 settembre a Pieve Santo Stefano quando sarà proclamato il diario vincitore e quando verrà consegnato allo scrittore Carlo Lucarelli il premio "Città del diario".

ASCANIO CELESTINI il suo premio «Città del diario» lo vinse nel settembre 2006. «Io dell’Archivio ne avevo solo sentito parlare ma non c’ero mai stato» ci spiega. Dopo quell’incontro fra novembre e dicembre di quello stesso anno Raitre dedicò sei puntate de «La storia siamo noi» ai diari di Pieve con brani tratti dai testi dell’Archivio dalla Liberazione del 1945 agli anni Ottanta con la «voce guida» di Ascanio Celestini. «Quell’Archivio fu una miniera, venne messa insieme la memoria dei diari con la memoria di quegli anni ai quali io aggiungevo la mia». «Trasformare le storie dell’Archivio in libri d’autore – prosegue Celestini – come si fa per le fiabe della tradizione orale, anche se viene fuori la povertà lessicale di chi non sa scrivere dà a quelle pagine una concretezza che nella grande letteratura difficilmente riusciamo a trovare. L’Archivio di Pieve è come una biblioteca, non vai per acquistare, ma per cogliere suggerimenti, basta cercare fra tutti quei libri a tua disposizione. Prendi un diario, lo leggi, è sufficiente un solo frammento a certificare la memoria, che non deve essere per forza quella dei grandi scrittori. Nei testi ’poveri’ puoi trovare la stessa cosa che trovi nei grandi libri, la differenza è che nel diario, e lo troviamo soltanto lì, per qualche motivo sentiamo di aderire alla storia di un personaggio, ci racconta qualcosa che ci appartiene, anche se è un punto di vista molto lontano, ci racconta qualcosa di noi. Quando cerchi qualcosa, anche col setaccio, è più facile trovarla in chi ha scritto un diario che in chi ha voluto farne una creazione letteraria».

 

 

IL DIARIO DI GIUSEPPE NOVELLI "ISTANTANEE DELLA COSCIENZA" DEL 2014

UN MESE in Africa può cambiarti la vita. Anzi no, te la cambia di sicuro, soprattutto quando diventi testimone di stragi, di dolore, di violenza inspiegabile e inarrestabile, verso tutti, uomini, donne, bambini. Il diario di Giuseppe Novelli, per un mese medico volontario all’ospedale di Mutoyi in Burundi per Medici senza frontiere, è uno degli otto diarti finalisti del Premio Pieve 2015, una delle otto storie che ogni giorno presentiamo su queste pagine, che verranno poi raccontate in anteprima il 4 settembre ad Arezzo nel giardino pensile della Provincia in attesa della cerimonia ufficiale che si terrà a Pieve Santo Stefano dal 18 al 20 settembre. GIUSEPPE NOVELLI, chirurgo di San Benedetto del Tronto ha 38 anni quando dall’ospedale di Rimini decide di partire volontario per il Burundi, è il 2014, anno in cui sono riprese le violenze, e dove non fanno morti le guerre civili ci pensano le epidemie, colera in testa. Ha con sé un computer e lì ogni sera scrive i suoi pensieri, la cronaca della giornata, le riflessioni sul lavoro e sulla condizione umana con cui si deve confrontare ogni giorno: «In sala operatoria, un ventenne, perforazione ileale. Rapida raffia, toilette peritoneale. Nell’immediato postoperatorio il paziente viene estubato. In respiro spontaneo. Il risveglio dall’anestesia dura circa 20 minuti, poi il paziente muore. Era settico. L’unica cura offerta è stata la chirurgia, invece avrebbe avuto bisogno della terapia intensiva. Ma non c’è. Non troppo stupore per gli operatori. La vita qui non vale meno, vale diversamente dalla nostra. Questo ospedale è una specie di miracolo. Tutto perfetto in puro stile bianco. Occidentale. Per forza. Uno stile africano in tema di ospedali deve essere ancora ideato. Solo che a forza di importare o subire modelli, questo paese un’idea tutta sua di sanità non ce l’avrà mai». I suoi appunti di cronaca sembrano voler alzare un muro contro il coinvolgimento emotivo, sotto le sue mani passano «pazienti». Ma la difesa è debole e cadrà di colpo di fronte a una realtà insopportabile. All’ospedale arriva una donna «gravida al 7 mese – scrive Novelli sul suo notebook – 28 anni, quarta gravidanza, lesioni da machete, cranio, volto, dorso e collo. Tentativo di decollamento. Molto profondo lo squarcio cervicale alto. Forse ha una lesione mielica, di sicuro instabile. Suturato un vaso vertebrale». Nonostante le cure la donna non ce la fa: «Stamattina è morta. Avviso il capo e torno a casa, mi sono rotto i coglioni». Lo stesso giorno, Giuseppe soccorre un bambino nato prematuro e abbandonato, ha 5 giorni e lotta per non morire. «Io non amo la chirurgia pediatrica perché non sopporto la sofferenza di un innocente – scrive – accetto che uno soffra se sta male, se uno ha vissuto almeno un pezzo della propria vita ma nascere e soffrire così, con un’occlusione intestinale, senza una mamma, in Burundi, no cazzo. Non capisco perché». Novelli lo opera: «Ogni millimetro del suo corpo vuole vivere a tutti i costi. Spero solo che ci riesca». Si salva quel bambino e la mamma viene rintracciata. Il chirurgo cede e si fa dire il suo nome, Sedrick. Il muro è caduto: «Non avrei voluto andare da Sedrick ma vaffanculo, entro in pediatria e mi faccio chiamare la mamma. Li fotografo, assieme, per ricordo. Il più giovane paziente che abbia mai operato oggi ha 18 giorni, è in braccio ad una donna amorevole ed è vivo. Sono felice e tengo la foto per non dimenticare che tutti abbiamo un ruolo nelle vite degli altri e quello che ho avuto per la vita di Sedrick mi piace, mi fortifica, mi commuove e soprattutto mi spinge ad andare avanti».