Arezzo, sprofondo rosso: un buco da oltre due milioni. Le prospettive

I conti che si nascondono dietro il rischio di fallimento. E la sola prima squadra costa annualmente intorno ai 2,2 milioni solo di monte ingaggi

Formazione dell'Arezzo

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Arezzo, 18 febbraio 2018 - Il fallimento non l’ha ancora chiesto nessuno, ma pare l’unica prospettiva possibile. Sia nel caso l’Arezzo muoia qui, sia in quello in cui il calcio riesca a ripartire, magari da una categoria inferiore. A condannare una società che l’ex presidente Mauro Ferretti ha mollato pur di non continuare a pagarne i costi e che l’ultimo capataz, Marco Matteoni, ha condotto sull’orlo del baratro ballando allegramente sul Titanic insieme agli amici che si portava allo stadio (non ultimo l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno) sono i numeri del bilancio.

L’ultimo consuntivo si è chiuso a giugno con un deficit di 1,8 milioni, la stima è che attualmente i debiti ammontino a una cifra superiore ai due. Vuol dire, tradotto in chiaro, che qualunque investitore volesse farsi avanti dovrebbe farsi carico di coprire il buco e poi di assumersi l’onere della gestione corrente, cioè di tutte le spese che servono quotidianamente per mandare avanti la baracca.

Tanto per dare un’idea, la sola prima squadra costa annualmente intorno ai 2,2 milioni di monte ingaggi. Significa grossomodo qualcosa più di 150 mila euro al mese di stipendi e contributi. Più ci sono le spese fisse per i campi di allenamento, quelle per i dipendenti amministrativi, gli steward, i giardinieri e le altre mille voci che fanno il bilancio di una società di calcio, mai coperte davvero.

Nell’ultimo bilancio si arrivava a qualcosa come 3,4 milioni di uscite, tra le quali perlomeno non rientra lo stadio, concesso dal Comune in cambio della manutenzione. Quindi senza spese di affitto, anche se poi ci sono quelle vive per mantenerlo in funzione. La grande colpa di Ferretti e dei suoi collaboratori è stata di non dare un colpo di forbici a costi così esorbitanti.

La piazza premeva, la piazza chiedeva una squadra di livello, e nessuno si è preso la scomoda incombenza di spiegare che non si va avanti con le cambiali metaforiche dei «pagherò». Matteoni dal canto suo aveva dato incarico ai dirigenti tecnici, Fabio Zavaglia e Piero Di Iorio, di sfoltire le spese, vendendo alcuni dei giocatori che costavano di più. Ma il mercato di gennaio si è risolto in modo paradossale, con l’arrivo di nuovi calciatori senza che chi era sul piede di partenza venisse ceduto, tanto che alla fine a finire licenziati sono stati proprio Zavaglia e Di Iorio.

Il risultato è una rosa più pletorica che mai. Non è colpa dei giocatori, intendiamoci. Loro, quando firmano un contratto, non puntano la pistola alla tempia di nessuno. E’ chi dirigeva che avrebbe dovuto fare i conti di cosa rientrasse nelle possibilità della società e di cosa no. Una gestione scellerata finita inevitabilmente nel naufragio.

Ora bisogna vedere se qualcuno porterà i libri in tribunale e di cosa eventualmente decideranno i giudici. Ma in queste condizioni chiedere a un imprenditore serio di metterci la faccia e soprattutto i quattrini è pura temerarietà. Per i miracoli c’è Lourdes, non lo stadio comunale «Città di Arezzo»

Salvatore Mannino