Don Paolo sarà sepolto col pallone ai piedi: la lettera di Pablito Rossi

"Sei il mio Don preferito" scrive l'ex calciatore dalla Cina. Il saluto sarà letto ai funerali di oggi. Attesa gran folla, stop alle auto. Ieri visita di Bassetti. La mamma racconta l'ultima telefonata

Don Paolo con Paolo Rossi

Don Paolo con Paolo Rossi

Arezzo, 18 luglio 2016 - «Sei stato il mio Don preferito: lo sei e lo sarai sempre». La carezza di Paolo Rossi arriva dalla Cina per atterrare a Campoluci, nella chiesetta dove don Paolo De Grandi è morto e dove oggi si celebreranno i funerali. «Mi perdonerai per non essere presente oggi, ma ci hai colto tutti di sorpresa». Il suo saluto sarà letto dalla moglie, Federica Cappelletti, alla fine della Messa.

Una Messa celebrata a fianco del campo da calcetto.  Alberi sotto i quali la gente di Campoluci e i suoi tanti amici vivono ormai da tre giorni. Ogni tanto rientrano in chiesa, pregano un po’ e poi riescono fuori. «Mi aveva telefonato l’ultima volta giovedì». Lì c’è anche la mamma insieme alla gente di Campoluci. Provata ma solida come una roccia. «Non aveva mai tempo per se stesso: insistevo perché facesse le analisi, si riguardasse. Mi diceva sì, ma poi...».

Il pallone sarà sepolto con lui: quello della Champions. «Gliel’avevano messo al piede destro, ma lui è mancino» dice un’amica, nel prato del dolore e del conforto. Oltre al pallone la maglia dell’Inter, la sua passione. Sopra c’è una letterina toccante del nipote. «Mi manchi già tanto: sono orgoglioso di avere uno zio come te».

E' una camera ardente infinita quella aperta nella chiesa di Campoluci. Il feretroi di don Paolo De Grandii, il parroco e insieme anche il cappellano della polizia e il sacerdote del grande calcio, è al centro della navata: e intorno si alternano tanti sacerdoti e i fedei, tra rosario e momenti di preghiera.

Una striscia di dolore, nel silenzio assoluto: rotto qua e là dall'arrivo dei giovani e dei ragazzi, quelli ai quali Paolo era vicinissimo, per un sacerdote che aveva fatto del pallone uno srumento di accoglienza, specie d'esatte, attrezzando la parrocchia di strutture idonee ai campi solari.

"«Non c’è cosa più triste per un padre perdere un figlio» aveva commentato a La Nazione da Perugia Gualtiero Bassetti. Non era ancora cardinale quando lo aveva ordinato sacerdote. «Un ragazzo di una vitalità inesauribile, lo avevo prima testato a Castiglion Fiorentino e poi in tanti altri incarichi». Con le lacrime agli occhi ricorda un episodio: una visita in ospedale, un’operazione alla spina. «Paolino – gli dissi – guai a te se tocchi ancora un pallone:ma temo che non mi abbia obbedito".

E oggi è arrivato a dirgli addio. Ha salutato i genitori, le sorelle, i tanti parrocchiani che gli sono intorno. E poi si è ritirato in preghiera davanti al feretro, prima di celebrare una funzione religiosa nella piccola chiesetta.

E come di un figlio, oltre che di un suo sacerdote, ne parla anche il Vescovo Riccardo Fontana. E' arrivato tra i primi a Campoluci ed è rimasto lì fino a tardi, a parlare con i parrocchiani, a consolare i ragazzi, ad accogliere la famiglia di Paolo (i genitori e due sorelle) arrivati di corsa da Verona. «Era un sacerdote forte, molto vicino ai giovani; e l’affetto della gente lo dimostra».

Fontana lancia anche un appello in vista dei funerali di domani alle 17: seguire le indicazioni dei vigili urbani per le auto,lo stop sarà posto  molto prima della chiesa, non ci sono spazi sufficienti ad accogliere il fiume di mezzi in arrivo, sia auto che pullman  da Verona. E il rito sarà concelebrato da decine di sacerdoti.

"Prima del malore era caduto in terra proprio a inizio partita: ed erano iniziati gli sfottò, ai quali rispondeva come sempre a tono". Il grande amico Marco Carrara ricorda gli ultimi minutidi vita di don Paolo. "MI voleva sempre con sè in squadra: il calcio era un gioco però non avrebbe voluto perdere neanche a bollini". 

LA FINE DI DON PAOLO. Il centravanti è stato assassinato verso sera, recita il titolo di uno dei più famosi romanzi sul calcio, di Manuel Vazquez Montalban, inchiesta di Pepe Carvalho, ma anche a fare il parroco può capitare di morire verso sera sul campo di pallone, tra i ragazzini dell'oratorio. E' successo a Don Paolo De Grandi, uno che calciatore lo era stato davvero prima di scoprire la vocazione sacerdotale, uno che era amico di molti del mondo del calcio, uno che del calcio aveva fatto un pilastro anche della sua attività pastorale.

La tragedia si è consumata poco prima delle 20,30 sul campo di calcio di Campoluci, il paese di cui Don Paolo era parroco. Si è accasciato all'improvviso, nel bel mezzo della partitella, cui partecipavano ex famosi: Marco Carrara, l'ex amaranto Stefano Rubechini, Luca Bartolini e Luca Bianconi. Sono stati appunto i suoi giovanissimi allievi a dare l'allarme al 118: correte, il parroco è a terra e non respira. Ma quando è arrivata l'ambulanza ormai non c'era più niente da fare se non pregare, la missione specifica del prete che era appena tornato a casa del padre, come si dice nel gergo del clero. E' accorso anche il Vescovo Riccardo Fontana sconvolto, avvertito dal questore Enrico Moja.

Don Paolo era amico di calciatori famosi come Damiano Tommasi, il capo del sindacato pallonaro, Enrico Chiesa, famoso bomber della Sampdoria di qualche anno fa. Da cappellano della polizia, si era prodigato, ai tempi di un'altra tragedia, quella che costò la vita nell'area di servizio di Badia al Pino est al tifoso laziale Gabriele Sandri, per l'agente della stradale che l'aveva ucciso, Luigi Spaccarotella. Frequentava con assiduità anche personaggi tra i più noti del calcio aretino, da Roberto Bacci, indimenticato difensore amaranto, a Paolo Beruatto e allo stesso Carrara che dell'Arezzo furono allenatori.

La sua straordinaria avventura umana Don De Grandi, che aveva appena 46 anni, l'aveva raccontata anni fa in un articolo per Avvenire, il quotidiano dei cattolici italiani. Nato nel 1970 a Nogara di Verona, era entrato da ragazzo nelle giovanili dell'Hellas Verona, dove ben presto si era rivelato un'autentica promessa, destinata probabilmente a giocare in serie A. Invece un incidente d'auto gli stroncò la carriera, ma lui non si arrese e si volse all'attività di allenatore, nel corso della quale ebbe fra i suoi calciatori proprio Damiano Tommasi.

Sognavo, scrisse lui, di diventare un grande tecnico e di avere un figlio che avrebbe lui sì giocato in serie A. Invece, nel corso di un viaggio come volontario barelliere a Lourdes, nel 1988, incontrò un prete, Don Gino, al quale sentì il bisogno irresistibile di confessarsi. L'inizio di un percorso di fede che lo portò in Bolivia accanto proprio a Don Gino. E fu il prete suo mentore a fargli finalmente la fatidica domanda: vuoi farti sacerdote?

"Andai in crisi - scrive lui stesso-  Avevo conosciuto una ragazza speciale, con cui pensavo di formare una famiglia. E poi quella era una proposta da pazzi: io, Paolo, dal calcio al sacerdozio, da una vita normale a una di sacrifici? E il figlio fuoriclasse? E il mio sogno di diventare un famoso allenatore? Le resistenze si moltiplicavano, sul tragitto di casa. Ma la 'telefonata' era arrivata, e la risposta si compose da sé. Nel cassetto i sogni cambiarono in un baleno".

Nel 1996 l'ex calciatore Paolo De Grandi entra in seminario a Verona, nel 2005 ne esce con la tonaca. Ma non abbandona il pallone, diventa il numero 10 e il capitano della Nazionale sacerdoti, dalla quale non è più uscito. Sono gli stessi anni in cui approda ad Arezzo come parroco di Campoluci. Poteva mai immaginare nel 2008 in cui scriveva che il paese della vocazione sarebbe diventato quello della sua morte su un campo di calcio? Chissà, forse non avrebbe desiderato una fine diversa, anche se è difficile dire addio a tutto a nemmeno cinquant'anni. Che la terra gli sia leggera, secondo il rito che lui stesso ha tante volte celebrato per gli altri.