Ex Bpel, inchiesta per truffa: tre "pentiti" dietro le accuse ai dirigenti

Direttori di filiale ormai fuori dall'istituto: carriere bloccate a chi non vendeva i bond a tutti? Gli indagati negano qualunque responsabilit: massima correttezza

Manifestazione di protesta. Risparmiatori di banca Etruria Arezzo

Manifestazione di protesta. Risparmiatori di banca Etruria Arezzo

Arezzo, 15 gennaio 2017 - Ci sono tre «pentiti» nell’inchiesta per istigazione alla truffa che è appena costato l’avviso di chiusura indagini, preludio della richiesta del processo, a cinque dirigenti dei piani alti di Banca Etruria. Tre «pentiti» che parlano e danno sostanza all’impianto d’accusa della procura, quello secondo il quale i responsabili di filiale, incaricati di collocare le subordinate al pubblico indistinto, venivano posti dinanzi a un’alternativa di fatto: piazzare più titoli possibili e averne dei vantaggi di carriera oppure rischiarla la carriera ma all’indietro.

E’ un salto di qualità, quello dei Pm del pool, che porta appunto all’appesantimento delle responsabilità a carico dei cinque dirigenti: non solo compartecipi della vendita delle obbligazioni che avveniva allo sportello, non solo protagonisti degli inviti alla rete commerciale a collocare i bond ma anche arbitri della carriera lavorativa di chi stava in filiale. Una ricostruzione alla quale la procura arriva sulla base di quanto hanno raccontato i «pentiti», tutti ex responsabili di filiale, che dicono di essere stati penalizzati dalle remore mostrate nel vendere i titoli senza porsi troppi scrupoli.

I tre sono ormai fuori da Banca Etruria e, accusano loro, ci sono finiti proprio per il modo in cui si sono comportati nel dossier subordinate. In pratica, avrebbero cercato di frenare sul collocamento, in particolare su quello al grande pubblico, in cui non si distingueva fra il risparmiatore della porta accanto e chi invece aveva le conoscenze per capire i rischi, e per questo si sarebbero ritrovati alla porta. Indicando in Federico Baiocchi, tutt’ora responsabile dell’area mercato, Luca Scassellati, all’epoca direttore territoriale di Arezzo, Paolo Mencarelli, responsabile della direzione Private, Luigi Fantacchiotti, coordinatore della zona Valtiberina e Casentino, e Samuele Fedeli, coordinatore della zona Arezzo, i responsabili delle loro disgrazie.

Come vanno inquadrate le testimonianze rese dai tre «pentiti»? E’ la rottura della rete di omertà che coprivano le responsabilità di secondo livello (gli altri direttori di filiale indagati per truffa, e sono a questo punto una ventina, non hanno mai puntato il dito su chi stava sopra di loro) oppure siamo di fronte alla vendetta postuma di chi, per i più svariati motivi, si è trovato fuori dalla banca e ora accusa quelli coi quali magari c’erano stati motivi di contrasto? I cinque dirigenti, nessuno dei quali parla in via ufficiale, puntano decisamente su questo secondo scenario e parlano di calunnie nei loro confronti.

Certo è che la procura, dinanzi a testimonianze così esplicite, non poteva far finta di niente. Sarà poi il prosieguo dell’iter penale con eventualmente i processi a far chiarezza sulle motivazioni degli accusatori. Di obiettivo, al di là dei racconti soggettivi di alcuni dei protagonisti, ci sono le mail scambiate fra la sede centrale, dove lavoravano i cinque dirigenti, e la rete delle filiali.

Lì i Pm hanno rintracciato gli incentivi a piazzare le subordinate in maniera massiccia. Ma per noi, obiettano i dirigenti, erano prodotti sicuri, remunerativi per qualsiasi risparmiatore, nessuno poteva immaginare che sarebbero finiti azzerati nel decreto di risoluzione del 22 novembre 2015. E’ la solita, maledetta storia: c’è un colpevole per 4.700 bondisti rimasti in trappola?

di Salvatore Mannino