"Io, Amedeo finalmente Savoia": cognome, il duca esulta alla sentenza. "Resterò ad Arezzo"

Ha messo in vendita la tenuta di Meliciano ma ne comprerà un'altra sempre in zona. "Vittorio Emanuele? Neanche una telefonata"

Amedeo di Savoia Aosta

Amedeo di Savoia Aosta

Arezzo, 20 gennaio 2018 - Squilla la voce del duca dalla dimora di Pantelleria dove Amedeo, adesso Savoia anche per la giustizia italiana, passa l’inverno con la moglie Silvia Paternò. E’ stato proprio lui, con un’intervista al nostro giornale, ad annunciare urbi et orbi che la corte d’appello di Firenze aveva ribaltato il giudizio di primo grado al tribunale di Arezzo. Stavolta a soccombere, e a dover pagare le spese processuali, sono Vittorio Emanuele e il figlio Emanuele Filiberto.

«Vicenda lunga e travagliata - spiega Amedeo d’Aosta - figuratevi che io e mio figlio Aimone abbiamo avuto i conti correnti bloccati per dieci anni, ci avevano condannato a versare a mio cugino un risarcimento da duecentomila euro. E meno male che ci fu una sospensiva a bloccare tutto».

Adesso respira, Amedeo. «Qui a Pantelleria si sta a meraviglia e poi io sono un ex marinaio e avere il mare a due passi mi riempie di gioia. Ma il cuore è sempre ad Arezzo la mia dimora da quarantacinque anni e dalla quale mai mi staccherò. Era proprietario, il duca, della tenuta del Borro, poi ceduta a Ferragamo e adesso ha casa e residenza a Meliciano.

«Ho messo tutto in vendita da tempo - dice ancora - ma nessuno compra. La casa è troppo grande per me e Silvia, spazio sprecato. Se vendo ne acquisto un’altra più piccola, sempre in terra aretina, sia chiaro». Indugia, Amedeo di Savoia, sulle motivazioni della sentenza, fondata anche sulle disposizione transitorie finale della Costituzione, laddove non si riconoscono i titoli nobiliari.

«In realtà il verdetto si fonda su una cosa molto semplice: posso da sempre firmare Savoia Aosta, ma Aosta è un predicato e uno non è obbligato a usarlo comunque. Anche il presidente del consiglio può firmare Gentiloni e basta, omettendo il successivo Silverj». Amedeo confessa di aver aspettato la sentenza con trepidazione, «volevo andare a Firenze ma i miei avvocati mi hanno detto che non ce n’era bisogno. E così ho appreso per telefono e ho brindato con mia moglie».

Dal cugino reale nessun segno di vita, «nulla di nulla, reazioni zero, non si è proprio fatto sentire«. D’altra parte non è che i rapporti con Vittorio Emanuele siano proprio idilliaci. Memorabile lo scontro al matrimonio dell’attuale re di Spagna Felipe, con due cazzotti mollati dal figlio di Umberto sulla faccia di Amedeo davanti alla stupefatta regina di Spagna Sofia che aveva sibilato «nunca mas». Mai più, come lo stesso duca aveva spiritosamente raccontato in un’intervista a La Nazione.

Alle origini delle baruffe non solo l’antipatia personale ma anche la contesa su chi fosse il vero capo di ciò che resta della famiglia reale. Vittorio Emanuele rivendica per sè il ruolo, in quanto figlio di re, Amedeo ribadisce che Umberto prima di morire aveva designato lui, dopo che il cugino si era sposato con Marina Doria, non di sangue reale, perdendo il diritto al titolo in base alle Regie Patenti.

Sia come sia, si arrivò alla guerra del cognome e nel 2010 la prima sentenza del giudice Sestini fu totalmente avversa al Duca: inibizione a chiamarsi Savoia, Savoia-Aosta come unico cognome. E in più la condanna a pagare 200 mila euro: 50 mila a testa a carico di Amedeo e Aimone in favore di Vittorio Emanuele ed Emanuele Filiberto. Ora, da Pantelleria, Amedeo si gode la rivincita dopo il secondo round finito per ko.