Quadri rubati in canonica, il Pm chiede l'archiviazione per Don Claudio

Per Marco Dioni il parroco della Collegiata di Montevarchi non è colpevole di ricettazione ma l'ultima parola spetta al Gip mentre va avanti l'inchiesta di Perugia sul furto nello studio legale

Don Claudio Brandi

Don Claudio Brandi

Arezzo, 19 gennaio 2018 - L’ULTIMA parola spetta al Gip. Ma per la procura di Arezzo, Don Claudio Brandi, il parroco finito nel groviglio dell’inchiesta sui quadri spariti da uno studio legale di Città di Castello e ricomparsi nella sua canonica, quella della Collegiata di Montevarchi, non ha commesso alcun reato. Nemmeno la ricettazione che gli imputavano i carabinieri, accusa grave persino per un privato, figuriamoci per un sacerdote. Il Pm Marco Dioni, titolare del fascicolo, ha già chiesto l’archiviazione.

Anzi, lo aveva già fatto quando l’intera vicenda è esplosa sui giornali con le misure cautelari disposte da un altro Gip, Valerio D’Andria di Perugia, a carico dell’antiquario Gianfranco Verdi (agli arresti domiciliari), vero fulcro dell’intero caso, e dei due uomini di mano cui aveva commissionato il furto, Roberto Cergnai e Michele Frau, entrambi con l’obbligo di dimora. L’intenzione della procura di chiudere le indagini senza avanzare alcuna imputazione nei confronti del prete La Nazione l’aveva già anticipata domenica scorsa, grazie alle anticipazioni di fonti giudiziarie, adesso però c’è la conferma data all’avvocato di Don Claudio, Antonino Giunta.

Per Dioni il caso è chiuso, poi toccherà al Gip (non si sa ancora quale dei tre in servizio al tribunale) disporre che il fascicolo venga inviato in archivio, oppure disporre indagini supplementari, al limite persino ordinare al Pm di formulare l’imputazione coatta. Restano intanto le valutazioni di Dioni. Secondo lui, non c’è ricettazione perchè Don Claudio non sapeva che i quadri fossero di provenienza illecita al momento in cui nel luglio scorso li acquistò dall’antiquario. Non sapeva, in altre parole, che una delle tele fosse stata affidata a Verdi in conto vendita dall’avvocato Paolo Pieri di Città di Castello nè che le altre erano state rubate dal suo studio nel blitz di Cergnai e Frau, con l’antiquario che, stando ai tabulati telefonici, stazionava nei dintorni.

SOLO successivamente, quando i carabinieri cominciarono a metterlo sotto pressione, addirittura con una perquisizione, Verdi fece visita al sacerdote (che aveva comprato per 10 mila euro, ricorrendo ai fondi della parrocchia cui sarebbero dovute andare i dipinti) lasciandogli capire che tre dei quadri erano rubati e che era meglio farli sparire. Qui le versioni divergono. Secondo l’ordinanza del Gip D’Andria che pare riassumere l’interrogatorio da lui reso il 14 novembre, Don Claudio li nascose nel furgoncino della parrocchia così che quando arrivarono i carabinieri per perquisirlo trovarono in canonica solo la quarta opera, quella in conto vendita. Il parroco, invece, racconta adesso (si veda l’intervista a fianco) che mise sì le tele nel furgoncino, ma chiedendo all’antiquario di venirsele a riprendere. Poi, dinanzi al persistente silenzio di Verdi, chiamò i carabinieri per restituirle.

IN ASTRATTO, si potrebbe ipotizzare un favoreggiamento ma il reato svanisce di fatto con la decisione di avvertire l’Arma: che favoreggiatore è quello che telefona ai carabinieri perchè si riprendano il bottino del furto? Ecco quindi la scelta di Dioni: archiviazione per la ricettazione a carico di Don Claudio, atti trasmessi a Perugia per i responsabili del furto, compreso un copioso faldone di intercettazioni già trascritte. Lì c’è la telefonata che il parroco fa all’antiquario per lamentarsi della perquisizione e ci sono anche i colloqui fra lui e Verdi a proposito di un’antica stufa in vendita. Niente di rilevante per Don Claudio. A meno che qualcuno dei protagonisti delle indagini perugine non faccia chissà quali rivelazioni capaci di risucchiarlo nel gorgo, per lui questa storiaccia è quasi finita. Senza danni penali, solo quello d’immagine che ci vorrà tempo per far dimenticare.

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