Omicidio Mino Pecorelli, la sorella: "Riaprite il caso"

Perugia, presto in Procura a Roma un'istanza sul delitto irrisolto

Rosita Pecorelli e, nel riquadro, il fratello Mino (Ansa)

Rosita Pecorelli e, nel riquadro, il fratello Mino (Ansa)

Perugia, 16 gennaio 2019 - L’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, direttore di Op (Osservatorio politico), ucciso con quattro colpi di pistola, è uno dei casi giudiziari che ha tenuto con il fiato sospeso tutta Italia, muovendo proprio da Perugia, per il coinvolgimento dell’allora sette volte presidente del consiglio Giulio Andreotti, poi assolto definitivamente dall’accusa di essere il mandante del delitto, così come gli altri imputati.

E oggi, a distanza di 40 anni, la sorella di Pecorelli, Rosita, chiede di riaprire le indagini sul delitto irrisolto. L’avvocato perugino Walter Biscotti che già durante i processi aveva sostenuto la parte civile, ha annunciato all’Ansa di depositare, già domani, un’istanza in tal senso alla Procura di Roma. L’inchiesta infatti, dopo una prima archiviazione proprio nella Capitale, venne trasferita a Perugia, in base all’articolo 11 dopo il coinvolgimento di Claudio Vitalone, allora magistrato di Roma. A condurre le indagini furono Fausto Cardella, attuale procuratore generale di Perugia e Alessandro Cannevale, attuale procuratore di Spoleto. Oltre a Andreotti e Vitalone erano imputati i boss mafiosi Gaetano Badalamenti e Giuseppe Calò e i due presunti autori materiali, Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati. Quest’ultimo, all’epoca esponente dei Nar – nell’ottica accusatoria – era stato coinvolto nell’omicidio attraverso la Banda della Magliana. Dopo sentenze contrastanti in primo e secondo grado, nel 2003 la Cassazione mise una pietra tombale sull’intera inchiesta.

Adesso però il difensore della famiglia sostiene, sulla base di ulteriori accertamenti, che ci siano margini per riaprire il caso. La richiesta di Rosita Pecorelli muove da vecchie dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra, un ex estremista di estrema destra. Nella dichiarazione, raccolta dal giudice Guido Salvini nel 1992, Vinciguerra sostiene di sapere chi avrebbe avuto in custodia la pistola usata per uccidere Pecorelli. Arma che, era emerso durante i processi celebrati a Perugia, sarebbe stata presa dal deposito in uso della Banda della Magliana, negli scantinati del ministero della Sanità. Verbale poi trasmesso alla Procura di Roma i cui accertamenti non hanno portato a sviluppi investigativi su questo aspetto.

L’avvocato Biscotti ritiene però ora di avere acquisito nuovi elementi legati alla deposizione di Vinciguerra che porterebbero a individuare la possibile arma del delitto Pecorelli. Sui contenuti dell’istanza, il legale mantiene però l’assoluto riserbo, in attesa di sottoporla ai pm della capitale. 

"Cerco la verità e non mi arrenderò finché non l'avrò scoperta - afferma Rosita Pecorelli - Voglio solo sapere chi ha ucciso mio fratello".

L'avvocato Biscotti si è detto "onorato" di rappresentare Rosita Pecorelli. "A mio giudizio - spiega - ci sono elementi tali da consentire ulteriori accertamenti. È un atto dovuto a Pecorelli, per continuare a cercare la verità".

Eri.P.