#ioleggopisano: il racconto di Daniele Curci

Nuovo appuntamento con la rubrica che raccoglie le pagine degli autori "di casa nostra"

Daniele Curci

Daniele Curci

Pisa, 6 aprile 2020 - Nuovo appuntamento con #ioleggopisano, oggi pubblichiamo il racconto di Daniele Curci.

Chi è - Daniele Curci è nato a Pisa nel 1992 e si è laureato nella stessa città in Storia moderna e contemporanea dopo aver svolto un soggiorno di ricerca per tesi alla Sorbona di Parigi. Ha fondato con un amico il blog L’Eclettico in cui pubblica racconti e parla di politica internazionale e di altre cose tra cui lavoro e giovani. È parte di C’era una volta l’America, un blog sull’attualità e la storia degli Stati Uniti, per il quale scrive articoli e partecipa a delle rassegne stampa su alcune radio locali e nazionali. Tra le altre cose è un amante dei trekking.

L’inizio di un nuovo giorno in un angolo di Parigi

C’è il sole oggi a Parigi ma non è caldo come ieri, un venticello leggero non fa sudare. Si sta bene fuori, nel sole che ancora non scotta, mentre mi dirigo dal giornalaio. Arrivato al chiosco dei giornali lo trovo chiuso, non so perché. È un tipetto simpatico il mio giornalaio, bassino sorride sempre. Ha la sua edicola tra l’incrocio di casa e Parc Monceau. È un uomo sulla sessantina, sordo con l’apparecchio acustico, che chiude sempre e stranamente verso l’ora di pranzo quando c’è più movimento. Ha sempre un cappello di pelo sul capo, come quelli che usano nell’Europa dell’Est o in Russia. Lo si trova spesso a leggere, talvolta in yiddish. Chiacchiera e ascolta volentieri: si vede che è una persona gentile.

Probabilmente nel suo chiosco non deve avere il riscaldamento perché d’inverno è sempre imbacuccato con una giacca molto pesante, i guanti e la sciarpa. Sicuramente non deve starci molto comodo in quel chiosco angusto; oltretutto il suo avamposto è sotto dei platani che gli danno un’allergia così forte da mandarlo all’ospedale, come la scorsa settimana.

Chiacchieriamo sempre un pochino quando al mattino, prima di andare all’Università, mi fermo da lui a prendere il giornale. Ma questa mattina dovrò fare a meno della mia chiacchierata e dovrò cercare il mio giornale da un’altra parte, così mi dirigo verso gli Champs-Élysées. C’è una tranquilla attesa il sabato mattina nell’isolato tra casa mia e gli Champs-Élysées: un mondo che attende l’inizio di un altro giorno uguale a sé stesso, tentando di trastullarsi ancora un po’ nel tepore crepuscolare che separa l’alba dal mattino.

Tra le vie i negozi si preparano all’apertura: l’italiano, il cinese, il libanese, il francese. Fuori da quest’ultimo un grosso uomo di colore, grembiulino bianco e braccia incrociate, parla con un altro uomo in una BMW sportiva. L’uomo di colore ha una faccia corrucciata, non si capisce se è preoccupato o concentrato. Poco più in là, all’ingresso di un parcheggio sotterraneo, uno spacciatore ride mentre dà la dose giornaliera ad un cameriere. Un ragazzo tra due transenne cerca di togliere con i denti il cartellino magnetico dagli shorts, è in mutande. Un arabo parla al telefono preoccupato. Dal locale libanese le ballerine stanche dalla nottata escono fuori alla luce del giorno: per loro la notte arriva quando per gli altri finisce. Tra di loro non si guardano e nessuno li osserva.

Finalmente arrivo sugli Champs, quel maledetto stradone di cattivo gusto nel cuore di Parigi: se fossimo in un paese di provincia non sarebbe altro che corso un po’ più kitsch. Il chiosco di giornali mi si para davanti, mentre mi avvicino mi accompagna una musica arabeggiante che sembra uscire dalla carta delle riviste. Il ragazzo arabo che ci lavora è gentile, sta tentando di farsi spuntare la barba da adulto. Poco più in là scorgo la targa del poliziotto ucciso nell’attentato pochi anni fa. Mi metto sulla via di casa scegliendo la via più breve: all’angolo della strada un nord africano si è steso per terra coprendosi con un piumino a chiedere l’elemosina. Due turiste orientali gli danno subito qualche spicciolo. Poco più in là il suo compagno che se ne stava andando lo appella in francese per prenderle in giro: la loro è tutta una montatura.

Entro nella strada che porta a casa. Dalla porta laterale di un locale iraniano escono due zingare dall’aria riposata e con un bicchiere di carta tra le mani per chiedere gli spiccioli. Parlano e ridono tra loro, mi guardano. Dall’altro lato della strada il barbone che ogni giorno siede accanto al bancomat per chiedere elemosina si prepara ad iniziare una nuova giornata. Proseguo alzando gli occhi al cielo guardando il giardino pensile illuminato dal sole della sede di Pathé! e sento quello che inizierò a pensare una volta a casa: che Parigi col sole è proprio bella. Ma ora, mentre sono per strada, lo sento e basta, come il calore mitigato dal vento. Una BMW sportiva ultimo modello per chi bello vuole apparire distrae prepotentemente la mia attenzione irritandomi. Un giovane arabo dall’aria storta si rivela gentile nel chiedermi dove sono le poste, ma io non ho la più pallida idea di dove possa trovarle.

Svolto alla banca e sono al portone di casa: entro ed il bambino della concierge è già pronto per fare i compiti. Chanel, la sua gatta, mi viene incontro stiracchiandosi: la giornata inizia anche per lei. Niente è cambiato rispetto a ieri, ma tra la cruda bellezza ed il sole oggi ho più voglia di vivere questa città in questo giorno.

Chiudo la porta di casa, Parigi è pronta per un iniziare un’altra giornata.