Zingaretti e Letta si sono fatti fregare da Raggi e Conte

Il 20 giugno ci saranno le primarie di partito e uno dei partecipanti sarà l’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Lo ha deciso il M5s

Virginia Raggi

Virginia Raggi

Roma, 10 maggio 2021 - No, Nicola Zingaretti non sarà il candidato sindaco del Pd a Roma. Il 20 giugno ci saranno le primarie di partito e uno dei partecipanti sarà l’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che domenica si è (auto) scongelato dopo aver preso tempo, si dice, per decidere.

In realtà non c’era niente da decidere, o quantomeno la scelta non toccava a Gualtieri. Era già tutto deciso. O si candidava l’ex segretario del Pd o si candidava l’ex ministro. Sicché, il M5s ha deciso per conto d’altri chi è l’avversario giusto, spiegandolo più o meno così: “No, Zingaretti non si può candidare, ché altrimenti noialtri Cinque stelle nel Lazio, dove governiamo insieme al Pd, ritiriamo la delegazione dalla giunta”.

Non bastasse, è pure arrivata la benedizione di Beppe Conte, che ha appoggiato la ricandidatura di Virginia Raggi, pronta a sfidare la sorte e la benevolenza dei romani, dopo cinque anni di sgoverno. Come già spiegato sulle Pecore Elettriche nei giorni scorsi, sarà forse solo Napoli l’unica città in cui la sacra alleanza fra Pd e M5S riuscirà a concretizzarsi.

Sognata, desiderata, agognata. Non ci sono però le condizioni per accontentare tutti. Non a Roma, non a Milano, non a Torino. Roma però è più centrale delle altre, per molte ragioni, quindi le difficoltà a costruire l’accordo Pd-Cinque pensano di più.

Perché? Anzitutto, perché a Roma i Cinque stelle governano da cinque anni. Se il Pd non riuscisse neanche ad arrivare al ballottaggio - che si potrebbe verificare, incredibilmente, fra la stessa Raggi e il centrodestra - sarebbe una sconfitta cocente soprattuto per Zingaretti, la cui gestione politica del Pd, da poco ereditata da Enrico Letta, che nonostante le molte chiacchiere si muove esattamente in continuità con il suo predecessore, si fondava essenzialmente sulla subalternità al M5s.

A Roma e non solo. Quindi soltanto a prima vista può risultare incredibile che politici navigati come Zingaretti e soci si siano fatti fregare da Raggi, che si è limitata a dire “mi ricandido”, e da Conte, già punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti, che non aveva altra scelta se non appoggiare la ricandidatura della sindaca.

In realtà, è tutto coerente con gli avvenimenti degli ultimi anni. Il Pd semplicemente non può permettersi di litigare con i Cinque stelle. Altrimenti perderebbe l’alleato, l’unico davvero disponibile a ingaggiare la battaglia contro le fantomatiche “destre” (sempre al plurale, mi raccomando) individuate dallo zingarettismo. Che tutto questo però comporti una progressiva perdita di senso al gruppo dirigente del Pd pare interessare poco.

La via è molto stretta, specie a Roma, dove Letta propone - come per tutte le altre città - un accordo preventivo per il ballottaggio (almeno quello, insomma). È dunque chiaro a tutti che il Pd a Roma non potrà attaccare frontalmente l’ex avversaria Raggi. Chiunque sarà il candidato, dovrà fare una campagna elettorale di contenimento, evitando di dire la verità su un’amministrazione fallimentare, il che darà ampia libertà di manovra a Carlo Calenda, che invece non ha alleati da compiacere.