Margiotta (Pd): "I referendum sulla giustizia sono un'occasione per tutti i partiti"

"Il Parlamento è incapace di affrontare i temi divisivi. Se n'è accorta, da anni, la Corte costituzionale", dice alla Nazione il senatore Salvatore Margiotta

Salvatore Margiotta

Salvatore Margiotta

Senatore Salvatore Margiotta (Pd), lei ha detto di essersi pentito di non aver firmato i referendum sulla giustizia. Il Pd ha perso un’occasione? “Il Parlamento ha sin qui perso l’occasione di dare un segnale più forte su un tema chiave della vita democratica del Paese. Perché se è vero che le riforme si fanno in Parlamento, lo è altrettanto che in questi anni le Camere abbiano avuto delle remore - per usare un eufemismo - nell’affrontare gli evidenti vulnus del sistema giudiziario. In queste ore i giudici della Consulta sono in camera di consiglio per decidere in merito ai referendum: mi auguro siano accolti anche se su alcuni quesiti ho delle perplessità mentre mi convincono assolutamente quelli sulla separazione della carriere, la valutazione dei magistrati e la custodia cautelare in carcere. Mi pare evidente, infatti, che potrebbero essere uno stimolo per il Parlamento ad intervenire su una materia su cui è sempre stato molto timido oppure uno strumento in mano ai cittadini per dare una svolta. Il Paese ha bisogno di una vera e profonda riforma della giustizia: non è più tempo di esitazioni. Sono gli stessi cittadini a chiederlo. Ci sono problemi tanto rilevanti che non è più immaginabile accordarsi su mediazioni al ribasso. E il referendum è un istituto importante: le occasioni di partecipazione elettorale vanno assecondate, soprattutto, in una fase dove la politica fa sempre più fatica ad intercettare le esigenze e le domande dei cittadini”.  La Lega è più avanti del Pd sul tema della giustizia? “Partiamo da una premessa: la Lega ha inteso la sua esperienza nell’esecutivo Draghi in un modo profondamente diverso da quello del Pd che, nei fatti, rappresenta l’architrave della stabilità di governo e il pieno interprete della sua agenda, ancora di più oggi in cui assistiamo alla frammentazione del quadro politico con il collasso del M5S e la crisi del centrodestra. La Lega in molti casi ha assunto posizioni di maggiore rottura, spesso di lotta e meno di governo. E mi pare che anche sulla giustizia ci sia stata molta strumentalità. Ciò non toglie che tutto il Parlamento abbia il dovere di mostrare più coraggio e determinazione. Il garantismo è, o dovrebbe essere, uno dei pilastri portanti del pensiero e della cultura politica dei democratici, così come lo è stato per una parte della sinistra e dei cattolici democratici”. Il Parlamento è incapace di affrontare temi divisivi? “Su questo ci sono pochi dubbi; mi pare siano i fatti ad indicarlo. Se n’è accorta, da anni, la Corte costituzionale che, proprio per spronare il Parlamento a fare il suo lavoro, più volte ha sollecitato il legislatore a intervenire su determinate questioni. Tuttavia, deve essere chiaro a tutti che, in particolare, il referendum sulla giustizia rappresenta un verdetto sull’inerzia della politica. Per questo il referendum e la riforma possono procedere in parallelo: lo strumento referendario può darci la forza di essere più decisi su alcuni elementi dirimenti. Qui non si tratta solo della giustizia lenta, dell'urgenza di prendere i fondi europei, della legge elettorale del CSM o di uno stop delle porte girevoli più o meno severo, ma della necessità di interrogarsi - per esempio - sul progressivo scivolamento dal processo all'indagine con un sistema dove conta più l’incriminazione di una sentenza. Si tratta di ridefinire i contorni della nostra cultura giudiziaria che è un fattore di civiltà democratica”. Molti applausi a Mattarella, ma è proprio sulla giustizia che la politica non lavora speditamente. È soddisfatto del lavoro di Marta Cartabia? “La Ministra Cartabia ha fatto un ottimo lavoro nella situazione data che è quella di una maggioranza di governo composita con idee profondamente diverse sul tema della giustizia. Diciamo che si tratta di un buon punto di partenza, ma non certamente di un punto di arrivo. Le riforme ben fatte richiedono tempo e coesione. Non abbiamo né l’uno, né l’altro. Non possiamo pensare di limitarci a grattare i problemi superficiali della giustizia, a spazzare via la polvere. Gli applausi al Presidente Mattarella dimostrano una volontà a cui devono seguire azioni concrete: nell’interesse dei cittadini, la giustizia non può essere terreno di scontro o diffidenze corporative. Serve un cambiamento organizzativo radicale e anticorporativo che si fondi proprio su alcuni princìpi alla base dei quesiti referendari che - come dicevo prima - sostengo e condivido in pieno: sì alla separazione delle carriere, sì alla valutazione dei magistrati e stop all’abuso della carcerazione preventiva. Il Paese si ricostruisce partendo anche da una nuova cultura giuridica vicina ai cittadini, ispirata al garantismo e lontana da tentazioni populiste”.