Quando lo stadio rappresenta la grande crescita di una società

I romagnoli erano in serie C con lo Spezia, ma poi hanno disputato tredici stagioni in A partecipando alla Coppa Uefa

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Sabato prossimo forse finirà l’esilio dello Spezia in quel di Cesena. Un modesto contributo alla questione stadio nella nostra città può venire proprio dalla storia della squadra della città romagnola, simile per abitanti alla nostra, ma con un tessuto socio-economico assai più dinamico. Il Cesena spiccò il volo verso il grande calcio proprio ai danni dello Spezia. Serie C 1967-68, al timone degli Aquilotti c’era il presidente Guerriero Menicagli e l’allenatore era Malavasi. Fondato solo nel 1940, con un’episodica presenza in B subito dopo la guerra, per il Cesena la C rappresentava il punto più alto di una parabola che era cominciata da zero. Il presidente Dino Manuzzi aveva in comune con il nostro Menicagli mezzi economici di un medio imprenditore e una grande ambizione. In quel campionato, che vide gli Aquilotti a lungo al comando, la differenza la fecero tre miseri punti. A quel punto le storie si divaricarono in modo brutale: in questi ultimi 53 anni lo Spezia ne vanta uno in A e dieci in B, i romagnoli una partecipazione alla Coppa Uefa, tredici in A (con ben cinque promozioni) e 32 in B. La città ha sempre assecondato la squadra adeguando lo stadio tre volte in epoche diverse, agevolando presidenti come Manuzzi, che nel 1973 raggiunse la serie A per la prima volta, e Lugaresi. Chi ha passato gli anta ricorda ferrotubi di un calcio ruspante, capienze relative, col record di 36.000 spettatori contro il Milan. La città realizzò il suo capolavoro nell’estate del 1988. In piena euforia per il ritorno in A, approfittando dei fondi di Italia ’90, spesi come si deve, il Comune iniziò i lavori il giorno dopo l’ultima partita in casa e li terminò per la prima partita del nuovo campionato. Furono demolite le due curve e i distinti, fu creato un impianto all’inglese, con gli spalti a due passi dal campo, che fu allargato, con la copertura integrale dello stadio, primo caso in Italia, terminata a campionato in corso. La tribuna fu invece profondamente ristrutturata. Un vero gioiello, con visibilità perfetta ed ogni comfort, costantemente adeguato, che l’anno scorso ha ospitato gli Europei under 21. Evidentemente il calcio in Romagna è visto come un veicolo di promozione del territorio e non un fastidio, al contrario della nostra città, dominata da una classe dirigente autoreferenziale, incapace persino di sfruttare l’occasione dei fondi elargiti con Italia ’90. Dove altrove si realizzarono costosissime cattedrali nel deserto, anche qui non si brillò: la ristrutturazione del Picco secondo il progetto Gregotti si fermò a metà e lì è rimasta da una trentina d’anni. Ora che, nonostante questa palla al piede, lo Spezia è riuscito a conquistare la A, sarebbe un delitto non adeguare lo stadio o costruirne uno ex novo. I tempi non sono più quelli degli anni’80? Si guardino realtà provinciali come la nostra, tutte attuali, da Udine a Frosinone alla stessa Bergamo, tutte con un ruolo decisivo dei privati. Certo è che senza uno stadio all’altezza non sarebbe possibile quel salto permanente nel grande calcio che a Cesena sono riusciti a fare per circa mezzo secolo. Dispiace che molta Spezia "che conta" tifi contro.

Mirco Giorgi