ANDREA SPINELLI
Cronaca

Paolo Benvegnù riparte da Firenze: "L’amore? Gesto rivoluzionario"

L’ex ideologo degli "Scisma" il 20 gennaio al Glue con il nuovo disco e i brani della sua trentennale carriera "Sono un uomo del Novecento e ho un po’ addosso la stizza cosmica del secolo passato".

Paolo Benvegnù riparte da Firenze: "L’amore? Gesto rivoluzionario"

Paolo Benvegnù riparte da Firenze: "L’amore? Gesto rivoluzionario"

Siamo aquiloni fermi a terra. Motori immobili. Condannati alla marginalità dal pragmatismo post-moderno in cui viviamo. Esseri a cui l’unica libertà, presente e futura, concessa sta nell’inutilità. Dell’amare. Dell’essere. Più inutili si è, più si è liberi. O, almeno, così la pensa Paolo Benvegnù tra i pensieri obliqui di "È inutile parlare d’amore", nono album solista che l’ex ideologo degli "Scisma" presenta in concerto il 20 gennaio al Glue di Firenze. "In un mondo intriso di pragmatismo e di volontà di posizione, ogni atto di costruzione gratuito è un atto inutile" riflette il musicista milanese trapiantato a Perugia, 58 anni, che in questo nuovo progetto trova pure la complicità di Brunori Sas ("L’oceano") e Neri Marcorè ("27/12"). "Se tra innamorati ci si parlasse in maniera pragmatica, una volta confidato all’altro ‘ti amo’ cos’altro resterebbe da dire? E invece no, l’amore è altamente democratico, chiunque può praticarlo in tutte le sue possibilità e con tutte le sue distorsioni. Un po’ come la fila in autostrada a Pasquetta e a Ferragosto".

Definisce l’amore un gesto rivoluzionario. Perché?

"Nel momento in cui ognuno di noi sta dentro ad una fetta di mercato e segue precisi canoni comportamentali, soltanto l’amore può slacciarci da questo tipo di realtà. Una realtà sempre più Individualista guidata dal senso della posizione che abbiamo nel mondo grazie ai social media. Ecco perché, a mio avviso, bisognerebbe avere meno a che fare con gli schermi e più col nostro sentire, staccandoci dall’io per perderci nel noi".

In "Tecnica e simbolica" parla del vendere il talento per sentirsi importanti.

"Nel momento in cui gli esseri umani non sviluppano un desiderio in quanto tale, ma solo per averne un ritorno, è già svanita l’intenzione. Sono convinto che chi si muove nel campo della creazione dovrebbe farlo per dare segnali agli altri. C’è da dire che in questo le trasmissioni televisive abbiano dato una mano a far diventare l’espressione, intrattenimento. Certo, mi scoccia un po’ quando coloro che vengono dall’intrattenimento si permettono di pontificare sulla cultura, ma è un problema mio. Sono un uomo del Novecento e ho un po’ addosso la stizza cosmica del secolo passato".

I palcoscenici sono tutti uguali?

"Non è che le cose che accadono non lascino un segno. Non credo ai fantasmi, ma credo che non siamo solo quello che vediamo. Siamo pure quel che sentiamo. Prendi l’Ariston di Sanremo, frequentato per un’edizione del Premio Tenco, quando ti esibisci su certi palchi avverti la presenza di quelli che ti hanno preceduto e della gente che, lì davanti, hanno fatto felice. Lo spirito che ci anima sulla scena è un po’ quello del jazz, ogni volta le suggestioni cambiano perché ogni istante è diverso dall’altro".

"Gli Scisma", la musica degli Anni 90, e un’avventura rock esaurita con l’’ultimo valzer’ alla Flog del 2003 (ma dieci anni fa c’è stata una reunion seguita da un nuovo periodo d’oblio). Mondi lontanissimi?

"Momenti di venti-trent’anni fa accompagnati da una dose di stupore, di ingenuità, che ora un po’ mi mancano. Non ho nostalgia di un’epoca, ma del suo pensiero. Come diceva qualcuno, e pensare che c’era il pensiero".

Secondo progetto artistico in otto mesi. E poi?

"Se l’ep ‘Solo fiori’, uscito a maggio, era la prefazione, questo è il romanzo. Ma vorrei tanto convincere la casa discografica a regalarmi pure una postfazione".