Il fallimento del reddito di cittadinanza

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Stefano

Cecchi

Doveva servire ad abolire la povertà, a oggi non ha abolito nemmeno il dibattito sulla sua utilità. Il reddito di cittadinanza, ovvero la misura più simbolica che ha segnato il Movimento 5 Stelle di governo, da quando è stava varato, ovvero da tre anni anni, divide il Paese orizzontalmente. Mentre coloro che lo hanno proposto continuano a ritenerlo uno strumento essenziale per combattere la disoccupazione nel Paese, c’è una larga fetta di opinione pubblica che continua a non essere convinta (a ragione) dei modi e delle forme con i quali si eroga lo stesso reddito. Dai cosiddetti navigator, che come Virgilio cibernetici dovevano accompagnare il disoccupato fuori dall’inferno della disoccupazione, ai centri per l’impiego, oggettivamente fin qui la macchina prevista dal decreto istitutivo ha funzionato malissimo e forse non è un caso che che abusi accertati siano stati tantissimi: solo nel 2021 oltre 160.000. Qualcosa di sconveniente per tutti. E non si pensi che la cosa riguardi solo il Sud. Nella sola Firenze a oggi sono oltre 13.000 le persone che percepiscono il reddito di solidarietà, cifra che arriva a 26.551 se si considera l’intera provincia. Un numero che non sfiora certo i dati siciliani e campani, ma certo non un dato simbolico. Che forse anche per questo meriterebbe un attenzione maggiore. La stessa legge istitutiva della misura prevede infatti nel caso non sia possibile trovare lavoro al soggetto, di poter utilizzare lo stesso in progetti di pubblica utilità (Puc) da svolgere nel comune di residenza per un minimo di 8 a un massimo di 16 ore settimanali. Visto il fallimento complessivo della macchina messa in piedi per trovare lavoro a chi non lo ha (e in attesa che la legge venga finalmente riformata) e visto che lo Stato comunque deve pagare lo stesso, non converrebbe allora che anche i comuni dell’area fiorentina si attrezzassero per usare il più possibile coloro che percepiscono il reddito in attività utili alla comunità? Se così avvenisse, non solo sarebbe una cosa buona per il territorio, che riceverebbe un tangibile beneficio, ma lo sarebbe anche per coloro che, non certo per colpa propria, continuano a incassare un assegno restando seduti sul divano di casa. Cosa questa che non può far piacere a nessuno. Né a chi eroga il reddito, né a chi lo riceve.

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