La quarantena non ha nulla di romantico

Il commento della direttrice de La Nazione

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 25 marzo  2020 -  La classe operaia non va in paradiso, e adesso che è costretta a restare in casa – fatto salvo chi continua a dover lavorare usando magari i mezzi pubblici – pure il purgatorio se lo sconta con aggravio di pena. Non scrivo tutto questo per il gusto di farvi un predicozzo muffito sulle differenze di classe, ma per protestare contro i tanti discorsoni che si sprecano in questi giorni bislacchi: smettiamola di santificare la quarantena, di raccontarci quale momento prezioso possa diventare per ritrovare – com’è che si usa dire ultimamente? – «un contatto profondo con noi stessi», o addirittura «per riscoprire la pace interiore» e «la fascinosità dei ritmi lenti», per non parlare «della fragranza dei biscotti fatti in casa».

La quarantena è giusta, doverosa, necessaria per vincere la battaglia contro questa pestilenza moderna chiamata coronavirus. Ma non ha nulla di romantico. Soprattutto se non hai disposizione 120 metri quadrati di appartamento e un giardino o una terrazza, e magari un paio di computer, la tv satellitare e la fibra. Come sempre i social network ci offrono spaccati fasulli (lo è del resto la maggior parte di ciò che circola edulcorato dai filtri di Instagram) sulla presunta soavità che costringe milioni di italiani fra quattro mura. Invece la quarantena, nel mondo reale, non è altro che un sacrificio e forse peggio, senza la possibilità di un umano svago fuori da quel buio asfittico che talvolta può diventare l’habitat domestico: ce lo raccontano le statistiche, l’aumento delle denunce per violenze, le difficoltà di intere famiglie con malati o anziani a carico che non hanno più assistenza. Ecco spiegata l’intolleranza a cui si assiste dai nostri balconi: a Lucca ieri hanno insultato una signora perché ha osato portare il suo figliolo disabile a prendere una boccata d’aria, sabato nel napoletano hanno sputato addosso a una farmacista che rientrava a casa dal lavoro solo perché camminava per strada. La segregazione genera rabbia: ammetterlo è il primo modo per tenerla a bada.