Firenze, 21 giugno 2020 - Se tu potessi vederci, ascoltarci, leggerci adesso: l’avresti immaginata un’emozione così? Un Paese intero – e che Paese: mai tanto diviso, ostile e astioso, arrabbiato – che unito ti guarda e guardandoti si commuove, che rispettoso e attonito ricorda le tue disavventure e le tue imprese, i tuoi dolori e la tua forza, il tuo mito: Alex Zanardi. E allora, se tu potessi parlarci, adesso, che cosa diresti ai giornalisti accalcati là fuori, oltre le porte della terapia intensiva, ai chirurghi dentro la sala operatoria, che cosa diresti a tua moglie e a tuo figlio, a ciascuno di noi?
Nelle ore d’attesa fra un bollettino medico e l’altro, oltre i cancelli dell’ospedale di Siena, tanti e fra questi anche io ci siamo chiesti quale sia il senso della tua tenacia da Ulisse di oggi: l’uomo e l’impresa, la sfida e l’ignoto e il fato in un corpo che tu hai piegato allo spirito, quello sì invincibile. È questo il tuo segreto? Oppure l’attitudine per il sorpasso sempre e comunque, il brivido del fuori pista, le mani sui pedali e il cuore sull’acceleratore: è questo che ti rende irraggiungibile e umanissimo, è questo che ci rende minuscoli e addolorati, qui tutti insieme a pregare per te? O invece il senso profondo della nostra ammirazione è un altro, più semplice e al tempo stesso pesantissimo: ci hai dimostrato che possiamo essere esattamente ciò che vogliamo, e che gli alibi stanno a zero.
Gli alibi, i piagnistei, le autocommiserazioni, il mondo crudele, il governo ladro e il destino ingrato. Possiamo essere ciò che vogliamo, e dipende solo da noi. Con o senza gambe fa lo stesso, perché il mondo sul serio ci appartiene anche se troppo spesso capita che non riusciamo a vederlo, a ricordarcene, a capirlo. Anche se troppo spesso non capirlo è solo la soluzione più facile e immediata: è la cosa meno impegnativa. E così tu sei la risposta ogni volta che torneremo a chiederci se la vita - questa stessa vita che interi o dimezzati ci portiamo addosso - sia davvero meravigliosa e non solo un gigantesco inganno. E così tu sei la risposta quando prima o poi, nel cammino, ci scopriremo tremanti a chiederci se piangere su quello che abbiamo perso o se combattere per quello che ci resta ancora. E ancora e ancora. Grazie Alex.