
Claudio Leoncilli
Norcia, 26 agosto 2021 - «Quando la mattina mi alzo per andare al lavoro vedo le stesse macerie da 5 anni, da quelle scosse terribili che tra l’agosto e l’ottobre del 2016 devastarono San Pellegrino. Ora questo è un paese fantasma, in cui si vive alla giornata. La mia famiglia è tra le uniche due che hanno finalmente fatto ritorno a casa, dopo anni di soluzioni abitative di emergenza, ma il resto della frazione è ancora un cumulo di macerie.
Il grosso della gente vive nelle ’casette’. E io m’indigno quando sento dire che la ricostruzione è iniziata, non è così. Per prendere un caffè, fare la spesa o qualunque altra cosa bisogna allontanarsi, non ci sono più vicini, non c’è più vita". La voce di Claudio Leoncilli ha le sfumature della rabbia e del dolore accumulati in questi anni difficili quando racconta il calvario della Valnerina e della sua San Pellegrino dopo il terremoto che le ha sconvolte.
Girando con lui tra le case ferite e avvolte nel silenzio, la chiesa crollata, il cimitero straziato si comprende perchè Claudio non riesce a gioire fino in fondo del suo ritorno a casa, quando gli altri sono ancora tutti fuori e il paesaggio stravolto offre solo rovine che sembrano infinite. "Abbiamo sperato e creduto alle promesse – dice Claudio – ma adesso siamo alla rassegnazione. Uscire di casa, andare al lavoro (Claudio lavora in un’azienda della zona) , fare la spesa sono cose che non riecono ad essere più gesti normali quando costringono ogni giorno ad attraversare l’abbandono. Qui ci saranno 200 case: solo un’altra famiglia, oltre alla mia, è riuscita a rientrare nella propria abitazione dopo il terremoto, ditemi se è normale...Faccio appello, anzi sfido chiunque, il commissario straordinario della Ricostruzione, Legnini, le più alte cariche dello Stato a venire qui e ad accertarsi di persona di come stanno le cose. Ormai a San Pellegrino le macerie sono entrate nel paesaggio, anche il verde ha preso il sopravvento e cresce anche tra i sassi, quasi li copre a volte. In 5 anni sono venute a mancare anche tante presenze. Chi tornava d’estate non viene più. Io per fortuna ho mantenuto il lavoro, ho i figli grandi, ho cercato di sopravvivere ma in questo piccolo borgo sono andate via, forse per sempre, 11 famiglie e in un contesto piccolo come questo è una percentuale alta, è qualcosa che accentua la disperazione. Quando passiamo davanti alle case disfatte sappiamo che in alcune non vedremo più nessuno. Lo spopolamento avanza. Per non parlare della gente che da queste parti nel frattempo è morta, gli anziani che le loro abitazioni ricostruite non le potranno più vedere. Qui in paese non c’è più niente, neppure un punto di aggregazione. C’è solo un centro sociale che speriamo di inaugurare presto, che è stato costruito grazie ai frati francescani.
E nonostante lo Stato non abbia messo soldi per ricostruirlo il centro sociale, a rallentare tutto ci ha pensato la burocrazia con beghe di ogni tipo. Anche se o non mi piace troppo sentir parlare di burocrazia, perchè è diventata un alibi per tutto. Però a volte ne sentiamo l’accanimento, abbiamo quasi la sensazione di essere torturati da cavilli che sembrano perdere di vista l’emergenza". Poi l’appello finale di Claudio, che è quasi una provocazione: "Almeno ci diano la possibilità, se non ce la fanno a ricostruire le case, di sistemare il cimitero, ancora chiuso e inagibile. Anche a nostre spese. Ci sono ancora i fiori lasciati al cancello visto che non si può entrare neppure a recitare una preghiera per i nostri morti. Ecco, almeno ci lascino onorare i morti".