In fabbrica e a casa, un mese senza Luana. L’orditoio manomesso è l’unica certezza

I rilievi minuziosi, i sopralluoghi dei consulenti, l’analisi dei dati e dei telefoni, il confronto tra le versioni dei testimoni

Luana D’Orazio

Luana D’Orazio

Prato, 3 giugno 2021 - Un mese senza Luana. A casa e in fabbrica. La tragedia di Luana D’Orazio, l’operaia di 22 anni stritolata dall’orditoio a cui era addetta nell’azienda tessile di Oste (Montemurlo) il 3 maggio, ha scosso l’Italia riportando alla ribalta il problema della sicurezza sul lavoro, troppo spesso dimenticato da chi dovrebbe esserne il garante.

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Oggi è un mese esatto da quell’incidente orribile ma ancora sappiamo ben poco su ciò che è accaduto in quella fabbrica la mattina del 3 maggio. La giovane, mamma di un bambino di 5 anni che sognava un futuro da attrice, è stata schiacciata dalla macchina a cui ogni giorno, da due anni, lavorava come apprendista. Ma come è stato possibile? Per di più in una azienda italiana e in uno dei distretti tessili più importanti al mondo? 

Il giorno dell’incidente la procura ha disposto il sequestro del macchinario di Luana e uno gemello per eseguire le comparazioni. Ha indagato la titolare dell’azienda, Luana Coppini, e il manutentore esterno alla ditta, Mario Cusimano, a cui si è aggiunto Daniele Faggi, marito della Coppini, ritenuto l’amministratore di fatto dell’orditura. Le ipotesi di reato sono uguali per tutti: omicidio colposo e rimozione dolosa delle cautele antinfortunistiche. Le indagini sono andate avanti ma le certezze raggiunte in un mese sono state poche. E’ sicuro che l’orditoio a cui era addetta Luana è stato manomesso. Lo hanno stabilito le prove tecniche svolte dai periti delle parti in due distinti sopralluoghi. La saracinesca di protezione che doveva difendere Luana era disattivata. Come lo era nel macchinario gemello. A conferma sono arrivate le dichiarazioni rese dai colleghi della ragazza al pm. Per la procura se il cancello avesse funzionato Luana non sarebbe morta. 

Come emerso dalla perizia è probabile che la ragazza sia stata agganciata dal macchinario frontalmente (indossava una normale tuta e non l’abbigliamento da lavoro aderente obbligatorio per stare a quella macchina) in una fase di lavorazione in cui l’orditoio gira piano. Se l’avesse risucchiata alla massima velocità il suo corpo sarebbe stato ben più straziato. A chiarire a che punto della lavorazione fosse arrivata l’operaia prima di essere ingoiata dagli ingranaggi sarà la lettura della scatola nera, la memoria interna dell’orditoio, spedita in Germania per essere decifrata dai tecnici della casa madre. Infine c’è il mistero sul messaggio audio in cui la ragazza si lamenta del macchinario («è mezzo tronco») ma che non è stato trovato dagli inquirenti nel cellulare di Luana.