Uccise la figlia durante il lockdown: inchiesta chiusa, incapace di intendere e di volere

La perizia conferma che quando uccise non era in grado di autodeterminarsi per una situazione psicopatologica grave: consegnato l'atto di fine indagini

La mobilitazione a Levane

La mobilitazione a Levane

Arezzo, 17 maggio 2021 - Billal Miah ha tolto la vita alla figlioletta di neanche quattro anni ed ha tentato di uccidere il figlio 12enne che in quella mattina di follia e sangue, il 21 aprile 2020 a Levane ( Arezzo), riuscì a mettersi in salvo. 

In questi giorni il pubblico ministero della Procura  Laura Taddei ha concluso le indagini che si erano fermate nel momento in cui l'uomo, nato in Bangladesh nel 1981 e venuto in Valdarno a lavorare, era stato riconosciuto totalmente incapace di intendere e di volere, non in grado di partecipare ad un processo.

Le cure e i mesi trascorsi hanno avuto effetti positivi e le sue condizioni di salute sono migliorate così il procedimento per i due reati - omicidio volontari aggravato dal rapporto genitoriale e tentato omicidio - ha ripreso la sua marcia.

L'avvocato Nicola Detti ha ricevuto dalla Procura l'atto di fine indagini, e il prossimo passaggio sarà l'udienza preliminare. Ma per Billal non si apriranno mai le porte della Corte d'Assise né verrà mai pronunciato un verdetto pesantissimo (fino all'ergastolo) perché nonostante ora stia meglio, quando uccise non era in grado di autodeterminarsi per una situazione psicopatologica grave.

Stando agli accertamenti psichiatrici non è imputabile. Uno di quei casi in cui si parla non di criminali ma di malati. Con trattamento specifico - controllo e cura - nelle Rems. Ma per quanto tempo? Fino a quando questi soggetti vengono ritenuti socialmente pericolosi per gli altri e per se stessi. Soffriva di mal di testa, fastidi, Billal Miah nei giorni precedenti al 21 aprile 2020.

Uno "scompenso psicotico confusionario" lo trasformò in carnefice. In quell'aprile di rigido lockdown per il Covid l'uomo, dipendente di una ditta che lavora metalli, era in cassa integrazione e stando alle perizie anche le insicurezze legate alla crisi influirono sulla sua mente. Il timore di perdere il lavoro, la paura di non essere in grado di sostenere la famiglia, di non poter tirare su quella bambina piccola.

Un cortocircuito. Il figlio ha raccontato le scene dell'orrore di quella mattina. Il ghigno sul volto del babbo. L'arnese preso dal cassetto e vibrato su lui e la sorellina. Uno scempio. Una famiglia distrutta. Ora il suggello del pm ad un'inchiesta che non avrà condanne.