"Stordita col farmaco e violentata": patteggia il patrigno incastrato dal video

L'aveva girato la figliastra dopo i primi abusi fingendosi addormentata: toccherà ora al giudice Ponticelli stabilire se l'anno e dieci mesi concordato sia una pena congrua. Nella foto il Pm Dioni

Marco Dioni

Marco Dioni

Arezzo, 5 dicembre 2018 - Finisce (o almeno i protagonisti sperano che finisca) con un patteggiamento la storia di sesso, droga e videotapes che ai primi di settembre fece scalpore in Valdarno. La pena, un anno e dieci mesi, l’hanno già concordata il Pm Marco Dioni, titolare dell’inchiesta per violenza sessuale, e il patrigno incastrato dalla figliastra con un filmato che documentava gli abusi subiti in stato di incoscienza.

Manca ancora il via libera del giudice, che è il Gup Piergiorgio Ponticelli: toccherà a lui dire se la pena è congrua in relazione alle contestazioni oppure se è troppo leggera. Verdetto che arriverà nell’udienza già fissata per l’11 dicembre, fra una settimana. E’ un caso che si dipana in poche settimane nel pieno dell’estate, in una cittadina valdarnese di cui sarà meglio tacere il nome per evitare di rendere riconoscibile la vittima.

Comincia con lei che scopre all’improvviso una malattia genetica per curare la quale i medici prescrivono un farmaco dagli effetti narcolettici. La giovane lo prende, insomma, e cade in uno stato di torpore, del quale avrebbe appunto approfittato il patrigno, un noto commerciante della zona, che con la scusa di assisterla si sarebbe trasferito di peso a casa sua e l’avrebbe a più riprese sottoposta ad attenzioni particolari che si possono riassumere sotto il titolo del reato di violenza sessuale.

La giovane, con due figli e un compagno, lì per lì non si accorge di niente ma poi comincia a insospettirsi per alcuni sintomi che a una donna non passano inosservati. Si confida con il fidanzato e insieme congegnano la trappola. Lei fa finta di assumere il farmaco e poi fa la parte di quella che è caduta in catalessi, ma non senza aver attivato prima lo smartphone in modalità telecamera, puntato su chi le sta di fronte.

Le immagini, quando va a rivederle, sono inequivocabili: il patrigno che allunga le mani proprio dove non dovrebbe. A quel punto parte la querela, che verrà corroborata anche da ulteriori elementi, che la figliastra considera come una sorte di confessione: lui che la bersaglia di whatsapp nei quali ammette: sì ho sbagliato, ma l’ho fatto per non mettermi il cappio al collo.

Segue una sorta di stalking, almeno a detta della giovane: il patrigno che la segue ovunque vada, nella sua fuga per rendersi invisibile da un paese del Valdarno all’altro e le installa persino un Gps nel cellulare per sapere sempre dove è. Tanto che il Gip dispone un divieto di avvicinamento. La sorpresa arriva quando i carabinieri vanno a notificarglielo e gli trovano in casa parecche decine di grammi di droghe leggere e coca.

Tecnicamente è spaccio, con tanto di arresto e successivo ritorno in libertà. Giuridicamente, il caso è complesso, perchè siamo ai limiti: nel momento in cui subisce gli abusi, lei non è incosciente ma finge di esserlo, è un consenso tacito o è punibile? E ci sono elementi di prova sufficienti per gli episodi precedenti, quellì sì violenza sessuale senza dubbi? Comunque sia, il patrigno, difeso dall’avvocato Stefano Del Corto, sceglie di patteggiare per evitare conseguenze peggiori. Lei fin dal primo momento è assistita dall’avvocato Giacomo Chiuchini.