Quei tesori tra le pergamene della Cattedrale Stregarono Muratori, un pioniere della storia

Lodovico, tra gli iniziatori degli studi medievali, si immerse nell’archivio. Il Seminario ricambiò pubblicando la sua opera in 36 volumi

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Claudio Santori

Èpassata quasi inosservata l’inaugurazione nella biblioteca Antica del Seminario della “Sala muratoriana”: è un peccato in quanto si tratta di un evento di primaria importanza per la cultura e la civiltà della nostra terra. I seminari fra la fine del ’600 e per tutto il ’700 svolsero in Italia una funzione culturale di primo piano, favorendo gli studi storici, numismatici e diplomatici, nonché della struttura, costituzione e conservazione delle biblioteche. Il seminario di Arezzo non fu da meno, anzi è rimasto famoso per un’operazione culturale di enorme rilievo internazionale: la pubblicazione dell’opera di Ludovico Antonio Muratori in ben trentasei volumi. Nato a Vignola il 21 ottobre 1672 e morto a Modena il 23 gennaio 1750, Muratori si distinse in quasi tutti campi dell’intellettualità settecentesca, non solo italiana, ed è considerato oggi il padre della storiografia italiana e l’iniziatore degli studi di medievistica.

Dopo approfonditi studi giovanili modenesi raggiunse il culmine del suo magistero storico nei cinque anni trascorsi a Milano alla Biblioteca Ambrosiana: risalgono a questi anni gli studi sul Medioevo, rivoluzionari per la ricerca e l’impiego dei documenti, insieme con l’acquisizione di una vasta cultura religiosa, storica e letteraria. Richiamato a Modena dal Duca Rinaldo d’Este, con funzione di archivista e bibliotecario, il Nostro approfondì le conoscenze paleografiche e diplomatiche e nei venti anni compresi fra il 1723 e il 1743 mise a frutto l’enorme materiale che aveva accumulato in campo storico, artistico e letterario pubblicando ben 38 volumi divisi in tre grandi filoni: i Rerum italicarum scriptores (1723-1738), le Antiquitates Italiacae Medii Aevi e il Novus Thesaurus Veterum Inscriptionum (1738-1743).

Completò questo lavoro titanico con numerosi lavori minori di carattere religioso e con la prima storia d’Italia dall’era volgare ai tempi suoi: gli Annali d’ Italia. Svolse una funzione di primo piano nell’indicare nuovi orizzonti alla pedagogia e al diritto nonché alla politica agraria, primo in assoluto a livello europeo.

Ma torniamo alla Sala Muratoriana del Seminario. Muratori venne ad Arezzo nel 1714 per studiare le pergamene dell’archivio della Cattedrale. La sua presenza fu un vero e proprio evento per tutti gli studiosi aretini e non, che accorsero al seminario per conoscerlo e profittare del suo magistero. La sua fu soprattutto una lezione di metodo destinata a lasciare una traccia profonda sulla ricerca e la pubblicazione dei documenti. Ne ha reso piena ragione la mostra curata da Dom Claudio Ubaldo Bordoni, Riccardo Neri e Serena Nocentini con l’allestimento di Roberta Fabbrini. L’edizione delle opere di Muratori (36 volumi in quarto tra il 1767 e il 1780) è l’impresa più importante della storia tipografica aretina, principale risultato e motore del risveglio culturale cittadino.

Come osserva dom Bordoni la presenza aretina di Muratori fu di stimolo non solo per il seminario aretino, ma per tutto l’episcopato toscano. Arezzo provvide a stampare tutte le opere di Muratori, anche quelle rimaste inedite. Sono messi in mostra i cliché utilizzati per la prima edizione milanese il cui acquisto dimostra la lungimiranza del Seminario. Il passo fu anche più lungo della gamba perché le spese furono assai superiori a quanto preventivato, e fu necessario l’intervento di Jacopo Gaetano Inghirami (vescovo di Arezzo dal 1755 al 1772) per aggiustare i conti. Gli stampini in mostra, ritrovati a suo tempo da don Natale Gabrielli, responsabile della Biblioteca antica del Seminario, sono ben 1278, di grande valore per la storia dell’arte tipografica dal punto di vista dell’archeologia industriale.

La mostra ha offerto per la prima volta al pubblico due pergamene della massima importanza: la bolla di Carlo Magno e quella di Ottone I con i sigilli autentici, recentemente illustrate dall’archivista Riccardo Neri in una conferenza della Brigata degli Amici dei Monumenti. Lo studio nel seminario aretino era accurato e profondo non solo per quanto riguarda la teologia, ma anche per la letteratura e il latino. Ne è prova una figura ingiustamente dimenticata che merita di essere riportata alla luce: quella del pievano Carlo Landi che non è soltanto il genius loci di Talla (dove nacque il 27 febbraio 1712 e morì 18 febbraio 1794), ma anche uno dei principali poeti satirici del XVIII secolo, autore di una vasta produzione di epigrammi, canzoni, sonetti e versi faceti d’occasione sia in italiano che in distici latini, pubblicati nel 1985 dal Comune di Talla per cura dell’allora sindaco Gianfranco Giannini in un libro di 300 pagine, oggi purtroppo introvabile.

Il libro contiene tutti gli epigrammi, spesso licenziosi, ma mai osceni, e riporta gli scherzi per i qualiLandi era famoso, tanto da poter essere assimilato al più celebre collega fiorentino, il Pievano Arlotto. Il libro contiene anche il poemetto in ottave “Le lodi di Porta San Clemente” in risposta a quelle di Porta Colcitrone di Lorenzo Grazini.

I saggi dell’ironia di Landi sono infiniti, in una serie di distici anche corrosivi che continuano a passare nella memoria collettiva. L’Amministrazione Comunale non ha dimenticato il Pievan Landi dedicandogli una strada parallela di Via Romana, lungo la ferrovia Firenze-Roma.