"Martina, almeno un milione di danni per una fondazione col suo nome"

Parla il padre Bruno Rossi: assisterà le donne vittime di violenza come lei, se avremo un risarcimento servirà per quello. L’atto di citazione civile contro Albertoni e Vanneschi quasi pronto. Qui il processo

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di Salvatore Mannino

"Quanto vale la vita di Martina? Per me non c’è cifra, un miliardo non basterebbe". Bruno Rossi, il padre della studentessa genovese morta, secondo la sentenza definitiva di cassazione, per sfuggire allo stupro di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, usa le iperboli per dire del dolore suo e della moglie Franca per una figlia volata giù a vent’anni, dal balcone di un grande albergo di Palma di Maiorca per finire la sua vita non ancora comincita nella fontana dell’hotel. Ma anche i genitori devono venire a patti con la realtà nel momento in cui si apprestano ad avviare un’altra azione legale contro i due ragazzi di Castiglion Fibocchi, il campione di motocross (Albertoni) e l’artigiano un po’ goffo (Vanneschi). Stavolta sarà un processo civile per danni e la richiesta di risarcimento non può essere di un miliardo, somma che nessun tribunale prenderebbe in considerazione, ma di un milione e oltre sì, un numero che invece davanti ai giudici civili si può reclamare eccome.

Papà Rossi lo spiega proprio qui ad Arezzo, che è diventata suo malgrado la seconda città della vita dei genitori, a margine del processo da cui sono usciti assolti i sei camalli (portuali) genovesi accusati del blitz a Castiglion Fibocchi del 18 giugno 2019, nel momento più buio (per la famiglia) dell’iter giudiziario, subito dopo la prima assoluzione in appello poi annullata dalla Cassazione. Dallo studio Fanfani, che ha assistito i genitori per tutto l’iter penale, confermano: l’atto di citazionè quasi pronto, la cifra in ballo è proprio quella, almeno un milione.

Il processo, comunque, si farà qui, il luogo di residenza di Albertoni e Vanneschi, i convenuti, secondo la terminologia della giustizia civile. Alla luce di una sentenza penale passata in giudicato, l’esito pare abbastanza scontato, il vero nodo del processo sarà il quantum, ossia l’ammontare del risarcimento alla fredda luce dei dati su Martina: vent’anni appunto, un’esistenza davanti, studentessa di architettura con una carriera lavorativa tutta da vivere.

Fosse anche il milione di cui si parla adesso, mamma Franca e papà Bruno, come spiega lui, non si metteranno in tasca un centesimo. Andrà tutto alla fondazione nel nome di Martina Rossi che i genitori stanno mettendo in piedi, il cui scopo sarà quello di aiutare le donne vittime di violenza, come quella subita dalla ragazza che quasi undici anni dopo (morì all’alba del 3 agosto 2011) è diventata un caso mediatico capace di scuotere l’Italia.

E come tutto è tardivo in questa storia, lo sta diventando anche l’esecuzione della pena (tre anni) cui Alessandro e Luca sono stati condannati. I due, come è loro diritto, hanno chiesto l’affido in prova ai servizi sociali al posto del carcere, ma a distanza di sette mesi dal verdetto di cassazione (7 ottobre) il giudice di sorveglianza di Firenze non si è ancora pronunciato. Normale nel paese della giustizia lumaca, in cui decine se non centinaia di condannati sono in attesa dell’affido in prova, ma quanto basta a confermare lo sconcerto dei genitori: "Ma vi pare possibile?". Papà Bruno vorrebbe almeno le scuse, come quelle che hanno chiesto dopo il processo di Genova per false dichiarazioni al Pm gli amici Enrico D’Antonio e Federico Basetti: "Loro però ci hanno scritto di aver mentito perchè anche a loro Albertoni e Vanneschi non avevano detto la verità. Dai colpevoli ci vorrebbe non una lettera, ma un vero epistolario. E soprattutto che cancellassero il blog in cui uno si dichiara innocente come Dreyfus. Ma per piacere, un po’ di decenza".