La testimonianza straziante della vedova Bozzi: il dolore e la ferocia nazifascista

La testimonianza straziante della vedova Bozzi, Giuseppa Corneli, che ha visto il marito e tre figli fucilati dai nazifascisti nel giugno del '44 a Civitella. Un racconto di dolore e coraggio durante la barbarie della guerra.

di Matteo Marzotti

Tra la testimonianze e i racconti che racchiudono la ferocia dei nazifascisti e il dolore delle famiglie nel vedere trucidati i propri cari c’è quella della vedova Bozzi, Giuseppa Corneli. Madre di otto figli che quel 29 giugno vide il marito e tre figli fucilati davanti alla propria abitazione senza alcuna colpa. La sua testimoinanza, arrivata ai giorni nostri, è stata inserita tra le letture di Ottavia Piccolo in occasione della celebrazione del 25 aprile a Civitella, nel corso della visita del presidente Mattarella.

"Nel giugno del ‘44 abitavo sotto Civitella, a circa un chilometro dal paese, nel podere della fattoria della Palazzina. Ero madre di otto figli, cinque maschi e tre femmine; il più grande di venticinque anni, la più piccola di cinque. La mattina del 29 giugno ci eravamo alzati presto per accudire le bestie. Prima delle sette, mentre le mie due figlie maggiori erano già partite per Civitella dirette alla chiesa, io e mio marito udimmo dei rumori e, scrutando la strada proveniete dalla Val di Chiana, vedemmo dei camion che si fermarono alla girata d’Achille. Con quello che era successo a Civitella poco tempo prima, cominciammo a insospettirci. Allora mio marito mi disse "Beppa, vai alla cava, guarda bene cosa fanno i tedeschi perché da lì si vede meglio e domanda a Balò che vedo in mezzo a quegli uomini che cosa si deve fare. Se non scappano loro, non si scappa neanche noi".

Io corsi alla cava, vidi subito Beppe Balò. Allora chiesi: "Cosa fanno?". Balò rispose: "Nascondono i camion per non farli scorgere al nemico; probabilmente stanno preparando la linea di difesa".

"Allora, che si fa?" domandai un po’ ansiosa. "È bene rimanere al nostro posto, altrimenti se ci mettiamo a fuggire ci possono sparare dietro" - fu la risposta di Beppe. Un po’ rassicurata, ma con un certo timore in fondo al cuore, tornai verso casa e raccontai quanto avevo visto e udito. Allora con mio marito decidemmo di far uscire le bestie dalle stalle per paura che i soldati potessero portarle via.

Mentre si compivano affrettatamente queste faccende, i tedeschi giunsero davanti alla nostra casa. Io ero nel retro dove si trovava la stalla delle pecore con la mia piccola Fernanda e fu da lì che udii un vociare e una fitta sparatoria.

Corsi con lo strazio e il presentimento più atroce e vidi quello che nessuno potrà mai né descrivere, né immaginare; perché, io sola, mamma e sposa, vissi con il mio povero essere la più tragica delle esperienze umane. Davanti agli stalletti dei maiali, quasi allineati giacevano mio marito Fortunato di 48 anni e tre dei miei figli, Gino di 28, Fernando di 21 e Pietro di 18 anni. Azelio di 10 anni, così come mi raccontò allora e come continua a ricordare oggi, fu messo accanto al padre e ai fratelli per essere ucciso e udì questa conversazione in italiano: "Anche questo?"

"No, è troppo piccolo, via!".

Mi gettai sopra quei corpi che ancora si agitavano nello spasimo della morte, li abbracciai ad uno ad uno, li scossi, li chiamai per nome, bevvi il sangue che usciva dalle loro bocche e lottai e gridai quasi con l’illusione di richiamarli in vita, ma quando i sussulti mortali cessarono e forse capii che tutto era perduto, mi gettai in ginocchio e con le braccia spalancate urlai verso il cielo tutto il mio dolore. E la terra e il cielo furono squarciati dalle mie grida.

Ma non potevo abbandonarmi completamente. Non ero sola: quattro piccole mani si aggrappavano alle mie vesti, Azelio e Fernanda cercavano il mio aiuto. Quale aiuto poteva dare una povera donna nelle mie condizioni? Eppure mi alzai, afferrai i due giovani figli, li sottrassi alla vista di quell’orrore e di quel rogo che si stava consumando accanto a noi perché la nostra casa era in fiamme. Tutto mi veniva portato via, anche la mia povera casa. Dove avrei alloggiato i figli rimasti? Allora, con quella forza sovrumana di cui sono capaci solo le madri, corsi a spegnere l’incendio aiutata dalle mie due creature che trascinavano a fatica dei pesanti secchi d’acqua dal pozzo. E l’incubo e l’angoscia continuarono: la raccolta di quel corpi straziati, la loro sepoltura in quelle casse rudimentali inchiodate con le nostre mani, quelle lacrime che nessuno poteva asciugare perché il dolore era troppo grande e perché intorno a noi c’era altrettanto dolore".