Effetto virus, rebus aziende: Chimet avanti, chiudono via via i giganti Unoaerre e Prada

Tensione in Valdarno fra base operaia e alcune grandi sigle metalmeccaniche Chiudono progressivamente oro e moda. Stop Soldini, caso Tca. Continua l’agroalimentare

Chimet

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Arezzo, i sommersi (che chiudono), i salvati (che restano aperti) e i sospesi (quelli che vorrebbero andare avanti ma non sanno ancora se verrà loro consentito). Il giorno dopo il decreto sbarraItalia, firmato domenica dal premier Conte dopo il drammatico discorso della mezzanotte di sabato, la situazione dell’industria aretina è ancora confusa.

Con tensioni palpabili, soprattutto in Valdarno e soprattutto nel settore metalmeccanico, fra sindacati e base operaia da un lato e alcune grandi aziende dall’altro. In generale, comunque, le grande fabbriche serrano i cancelli, così come le piccole e medie imprese.

C’è tempo fino a mercoledì a mezzanotte, la la stragrande maggioranza della manifattura aretina non rientra nelle deroghe concesse per alcuni codici Ateco di produzione, a cominciare dal distretto dei gioielli, il più grande d’Europa con le sue oltre mille sigle e 10-12 mila dipendenti, in dotto compreso.

UnoAerre, la madre di tutte le aziende del settore, con i suoi 300 lavoratori e il suo primato non più mondale ma almeno europeo, ha già chiuso, a parte alcuni addetti alla manutenzione che resteranno in fabbrica fino a mercoledì.

Resta aperto, invece, l’altro gigante della famiglia Squarcialupi, ossia Chimet, 3 miliardi di fatturato, tra le prime aziende toscane per questo parametro. Il recupero di metalli preziosi dagli scarti rientra infatti nella deroga per i rifiuti, così come l’attività di incenerimento dei residui ospedlieri, per i quali il colosso di Badia al Pino è l’unico polo privato della Toscana.

Al lavoro in 150 su 180, a casa solo gli addetti al banco metalli (che rifornisce d’oro il distretto dei gioielli, e quelli che producono lingotti. Dovrebbe fermarsi entro mercoledì anche gli altri due grandi raffinatori d’oro, A partire da Italpreziosi. Tca crede di rientrare nella deroga ma i sindacati mugugnano mentre Safimet, che ha un ciclo produttivo simile a quello di Chimet, ma più in piccolo, dovrebbe continuare la produzione. Il vero caso caldo di giornata però è quello delle due sigle eredi di Power One a Terranuova.

Secondo indiscrezioni autorevoli, Abb, polo locale della multinazionale svizzera omonima, rientra con le sue colonnine elettriche di ricarica nel codice Ateco del materiale elettronico che può andare avanti. Più complessa la situazione di Fimer, che sarebbe fuori dalla deroga ma ritiene di far parte, con gli inverter che sforna, della filiera essenziale legata all’elettricità.

Nell’un caso e nell’altro la base operaia mugugna, appoggiata dal sindacato. Sono in tutto oltre 500 dipendenti (180 alla Abb, 350 alla Fimer), la cui posizione andrà sbrogliata entro mercoledì. L’ultima parola spetta alla prefettura. Così come nel caso di Duferdofin (un pezzo della vecchia Ferriera di San Giovanni) che realizza cingoli per trattori, teoricamente compresi nella deroga.

Si ferma invece Beltrame, che della Ferriera è l’erede principale. Sta progressivamente chiudendo il settore moda, a cominciare dal marchio più prestigioso e importante con i suoi oltre 900 dipendenti, Prada. I due stabiilimenti di Terranuova sono già fermi, la logistica di Levanella per ora va avanti. Chiuso anche a Capolona il calzaturificioSoldini, circa centoi occupati.

Stanno fermando le machine, nel settore delle piccole imprese, il 90 per cento delle aziende artigiane associate a Cna e Confartigianato. Solo ieri a Cna sono stati raggiunti 40 accordi di cassa integrazione per Covid, con un totale di 114 dipendenti coinvolti, metalmeccanici e orafi in prima fila. I numeri dall’inizio della crisi sono di 339 intese aziendali, per un complesso di oltre 2 mila cassintegrati.

Il segnale di come il sistema Arezzo, inteso come manifattura, si stia progressivamente fermando. Restano sicuramente aperti due grandi stabilimenti dell’agroalimentare come Buitoni (380 dipendenti) e pastificio Fabianelli, più alcuni marchi minori dello stesso comparto. Continuano anche Aboca (farmaceutico) e Polynt di San Giovanni (chimica). Ma sono luci in un grande pannello che si spegne.