"Condannate a un anno babbo Boschi" Consulenze d’oro Etruria: 14 nel mirino

La requisitoria del Pm Masiello che non risparmia nessuno fra ex consiglieri e manager. Per il padre dell’ex ministro è la prima richiesta di pena. "Incarichi per 4,3 milioni inutili"

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di Salvatore Mannino

È come incassare un gol all’ultimo minuto di recupero in una partita condotta brillantemente in difesa. Quel che succede appunto a Pierluigi Boschi, ultimo vicepresidente di Bpel, a suo tempo il babbo più famoso e controverso d’Italia, innesco del caso politico-mediatico-giudiziario di Banca Etruria, per il quale arriva la prima richiesta di condanna, quasi al termine del primo processo di cui è protagonista, praticamente mentre sul crac dell’istituto di credito aretino sta ormai tramontando il sole dell’oblio, quando la figlia Maria Elena ora esponente di primo piano della renziana Italia Viva, ma all’epoca potentissimo ministro, aveva dato per chusa, e con successo, la vicenda giudiziaria del padre. Invece no, invece c’era ancora un corollario, l’ultimo filone dell’infinita telenovela di Bpel. E quella virgola costa a Babbo Boschi una richiesta di condanna ad un anno del Pm Angela Masiello. Un’inezia dal punto di vista penale, così come residuale è il capo di imputazione di bancarotta semplice o colposa. Basta però a macchiare quello che finora era stato un percorso netto tra i paletti dello scandalo. E chissà se la sentenza, prevista per la fine di maggio, del giudice monocratico Ada Grignani restituirà al Signor Pierluigi il candore dell’innocenza totale o allungherà l’ombra.

Babbo Boschi è il più illustre ma non l’unico dei destinatari della requisitoria nel processo sulle consulenze d’oro, 4,3 milioni di incarichi a prestigiosi professionisti e altrettanto note società, che secondo l’accusa (in aula c’è il Pm Masiello ma le indagini furono condotte dall’intero pool Etruria guidato dal procuratore Roberto Rossi) sarebbero inutili, ridondanti o ripetitive. Sostanzialmente milioni buttati via mentre Etruria affondava sotto il peso di un deficit pauroso. Sul banco degli imputati, e quindi delle richieste di pena che non risparmiano nessuno, c’è la crema dei professionisti e dei protagonisti dell’economia aretina e non. Quattordici accusati per i quali il Pm Masiello sollecita condanne fra l’anno di Boschi e gli otto mesi di chi se la cava meglio, graduate a seconda dei capi d’accusa contestati. Chi se li vede appioppare tutti e cinque (non solo Boschi, ma anche Luciano Nataloni, commercialista fiorentino, Luigi Nannipieri e Claudia Bugno, già consulente dell’allora ministro dell’economia Tria, tutti membri dell’ultimo Cda di Bpel, quello che fu commissariato l’11 febbraio 2014) incassa le proposte di pena ad un anno.

Poi si va a scendere: dieci mesi a Claudio Salini, già segretario generale della Consob, anche lui ex consigliere, che di capi di imputazione ne ha tre, nove ad Alessandro Benocci, Claudia Bonollo, Giovanni Grazzini, appena entrato in Estra e già presidente dei commercialisti aretini, Alessandro Liberatori, avvocato, Anna Lapini Nocentini, ex presidente regionale di Confcommercio ed ex numero uno ad interim della Camera di Commercio, ed Ilaria Tosti, anche loro nell’ultimo Cda di Etruria, con due capi di imputazione. Otto mesi infine per chi di accuse ne ha una sola: Daniele Cabiati, ultimo Dg di Bpel, Emanuele Cuccaro che era il suo vice, e Carlo Catanossi.

Le consulenze contestate sono quelle a Mediobanca (532 mila euro), allo studio legale torinese Grande Stevens (legatissimo alla famiglia Agnelli, 824 mila euro), agli avvocati romani Zoppini e De Gravio (800 mila euro), allo studio Scotti, Camuzzi, Portale e De Marco (200 mila euro). Tutte erano finalizzate alla fusione mai concretizzata con l’"istituto di elevato standing" imposta nel dicembre 2013 da una lettera di fuoco del governatore di Bankitalia Ignazio Visco. Si fece avanti solo Popolare di Vicenza di Gianni Zonin, di cui poi si è scoperto che stava persino peggio di Etruria, ma saltò tutto in un profluvio di accuse reciproche. In più, c’è il milione e novecentomila pagato alla prestigiosa Bain & Co. per la redazione di un piano industriale di cui sarebbero state prodotte solo alcune slides. Consiglieri e manager, secondo la requisitoria, avrebbero mancato al dovere di agire informati. Colpa appunto, non dolo. E’ andata davvero così o si va un’altra assoluzione di massa come quella del maxi-processo per bancarotta? La risposta entro maggio.