"Ma è ancora possibile sperare?" Il vescovo Andrea lancia la domanda tra il popolo di San Donato, una Cattedrale gremita, in barba alla canicola che ancora stringe d’assedio Arezzo e alle partenze per il mare, che hanno svuotato tanti condomini. La domanda è retorica, non ha nessun dubbio che la speranza sia di casa nel Duomo e nel resto della diocesi. Ma è una parola d’ordine alla quale appende la grande festa del patrono. E insieme in controluce una lettura sociale non banale. Perché prima ancora della speranza elenca i suoi nemici, le minacce che potrebbero svuotare la voglia di speranza dei fedeli. Mette in cima il calo delle nascite, segue la crisi economica e le guerre. Ma poi va su temi caldissimi: i femminicidi in testa, chissà se pensando a quelle due creature, Brunetta e Sara, madre e figlia, che erano state uccise fuori Porta San Lorentino in una notte di follia. C’è un passaggio che va in profondità e riguarda il "divario tra la ricchezza e la povertà che aumenta": un riferimento alle ingiustizie sociali che del resto, non a caso, già Paolo VI agganciava direttamente ai pericoli per la pace. E di fronte ai volti di chi è in chiesa, soprattutto famiglie passa in rassegna i problemi di ogni giorno: le difficoltà nell’educare i giovani, l’abbandono degli anziani. Questioni aperte e che nel suo stile Andrea Migliavacca aggancia ad un bicchiere più che mai mezzo pieno. La speranza che la figura di San Donato incarna, "esempio di speranza perché non ha spento l’ascolto. È anzitutto l’ascolto di Dio, della sua Parola e della sua chiamata e poi l’ascolto del gregge, di cui ci parla oggi la Parola". Il primo dono del santo, anche se subito dopo elenca quelli di missionario, di martire e anche di unire la gente e, insieme, la città. Il bicchiere mezzo pieno sullo sfondo del calice che San Donato era riuscito a ricomporre? Il Vescovo stavolta non ne fa cenno, ne aveva fatto il suo predecessore Riccardo Fontana richiamando le divisioni esagerate di Arezzo. E lui è lì, di fianco ad Andrea, col viso soddisfatto. In una chiesa che è il punto di arrivo di una festa dai mille volti: la preghiera pura, i momenti intensi della mattina in Pieve, la celebrazione finale ma anche gli eventi più laici. Dalla benedizione dei ceri in salsa Saracino fino ai fuochi artificiali, che marte hanno convinto più del solito, esplodendo sui tetti di Arezzo. Anche Migliavacca comincia a metabolizzare la fede concreta aretina, fatta di preghiera, certo, ma anche di grande concretezza, dai giorni della Madonna del Conforto a quelli di agosto. In chiesa anche rappresentanti di altre religioni: tra i volti che spuntano nella navata ci sono i giovani ortodossi di Rondine, grati alla città che li ha accolti e insieme con la testa e il cuore nei loro Paesi. E c’è il parroco della chiesa ortodossa di Arezzo. Quel filo di unità che la figura di San Donato trasmette da sempre, passa anche dalla religione, dalle storie, dagli incontri. "Diventiamo noi portatori di speranza se sempre più riusciamo a portare annunci belli, annunci di vita e di accoglienza. Custodiamo la speranza nel mondo e nella Chiesa se siamo noi costruttori di fraternità, se portiamo la pace, se viviamo la riconciliazione e custodiamo legami". L’appello in primis ai fedeli, una sorta di compiti a casa da portare dieetro per le vacanze. Fino all’esplosione finale: "Auguri terra di Arezzo e terra della nostra diocesi: sii terra di speranza". Una missione impegnativa, specie ai quasi 40 gradi di queste giornate: ma San Donato ci aiuterà.
Cronaca"Basta femminicidi e povertà". Ma il vescovo per San Donato lancia un appello alla speranza