Tra la ditta e il niente

L'editoriale del direttore de La Nazione

Pier Francesco De Robertis, direttore della "Nazione"

Pier Francesco De Robertis, direttore della "Nazione"

Firenze, 29 novembre 2015 - Siccome nel principio c’è la sua fine, partiamo dalla fine. E partiamo dal Pd, il partito del presidente del consiglio. Il più vecchio partito italiano che varcando le colonne d’Ercole della modernità si è spinto in un mare aperto nel quale non riesce a individuare né una rotta né una destinazione precisa. Salpato per la terra promessa della politica moderna il Pd ha lasciato a casa la bussola e il luogo d’approdo. I timonieri conoscono solo il porto di partenza. Problema di non poco conto per qualsiasi trasformazione politica, problema fondante che sovrasta tutti gli step e gli obiettivi intermedi che il segretario deve affrontare. E non è solo questione di primarie sì o primarie no, oppure se candidare Sala a Milano, la Lorenzin a Roma o come stoppare Bassolino, il vero dilemma del partito democratico è che cosa essere da grandi.

Problema non da poco, in particolare per due aspetti: il primo è che il segretario non ha ancora deciso nella sua testa che cosa volere del partito, il secondo è che Matteo Renzi, per la sua storia, per la sua formazione politica, per il suo stesso imprinting è probabilmente l’ultimo in grado di partorire una soluzione.

Che infatti siamo ormai transitati nell’era in cui le leadership si trovano al servizio dei partiti l’hanno capito anche i sassi, anche Bersani, ma come possono funzionare oggi i grandi partiti di massa in Italia nessuno l’ha ben presente. Il modello "ditta" è superato, un altro non è ancora stato partorito. Fu Berlusconi il primo a segnalare la fine dell’esperienza dei partiti classici, ma come accade sempre gli uomini di rottura non sono mai quelli che ricostruiscono. Anche perché con la sua forza mediatica, la sua rete di rapporti aziendali e la sua narrazione personale, quella dell’uomo nuovo che si era fatto da sé, il Cavaliere ebbe la forza almeno per un po’ di tappare il buco. Renzi, con la sua spinta rinnovatrice, la sua rivoluzione generazionale e soprattutto con il suo carisma personale e l’accentuazione leaderistica che ne ha dato ha posposto il problema, ma adesso i nodi cominciano a venire al pettine. Il partito fa acqua da tutte le parti, e non è un fatto di doppio incarico, come furbescamente vuol far intendere la minoranza dem per scalzare Renzi dal Nazareno e dividere con lui il potere.

E come nel gioco dell’oca si riparte da capo: che cosa fare del Pd. Come alleggerire una struttura un tempo pesante e renderla più snella, più vicina alla gente, meno autoreferenziale burocratica e costosa, in grado di assolvere il compito primario di un partito ossia selezionare la classe dirigente da proporre ai cittadini per la scelta democratica, e nello stesso tempo non farne un organismo liquido, con regole trasparenti, non inquinabile. Se fosse per lui, il premier della sede del Nazareno farebbe un bivacco per i suoi manipoli renziani dandone prontamente l’annuncio su twitter. Ma i tempi sono passati, e non sono più quelli dei bivacchi. Serve quindi un’idea, o perlomeno una decisione. Altrimenti sarà un partito a perdere.