Addio al fotografo Dondero, ispirò Bianciardi e la Maremma

A ricordare l'amico Dondero con affetto è anche Ettore, figlio dello scrittore

Mario Dondero a Grosseto nel 2014

Mario Dondero a Grosseto nel 2014

Grosseto, 14 dicembre 2015 - Reporter di guerra e di pace, Mario Dondero ieri sera, dopo una lunga malattia, è morto a Fermo. Aveva rischiato la vita più volte per i suoi reportage in luoghi di conflitto. La passione per la fotografia regala infinito coraggio. Era nato a Milano nel 1928. Ha continuato a viaggiare, fotografare, raccontare sino alla fine.

Lo scorso autunno è stato a Grosseto in occasione di una mostra di Massimiliano Tursi dedicata ai luoghi di Luciano Bianciardi, noto scrittore maremmano di cui Dondero era amico. Una figura internazionale, che poteva ritrarre Pasolini, scrivere di Africa, fare un reportage a Kabul. Anche Emergency oggi saluta Dondero sui social pubblicando una foto che lo ritrae proprio a Kabul e ricordando una sua frase a proposito del reportage in bianco e nero che realizzò in quella occasione: "Il colore distrae. Fotografare una guerra a colori mi pare immorale".

La foto che lo rese celebre in tutto il mondo è quella scattata a Parigi, sul marciapiede davanti alle Éditions de Minuit a Saint-Germain-de-Prés, dove sono ritratti gli scrittori del Nouveau Roman. Ma prima di diventare famoso, Dondero visse il periodo milanese degli artisti con grandi idee e pochi soldi nella pensione di Brera dove dormiva anche Luciano Bianciardi. I due, però, si erano conosciuti qualche anno prima a Grosseto.

Chi è appassionato di Bianciardi sa che Dondero è diventato anche Mario, un personaggio del romanzo "La vita agra". È il rischio che si corre a essere amici di uno scrittore, finire nei suoi libri. Allora faceva parte del gruppo detto dei "Giamaicani", dal nome del mitico bar Giamaica frequentato da artisti e intellettuali e che ne "La vita agra" si trasforma in Caffè delle Antille.

"Mi pare fosse l'estate del '53 quando io e Ugo Mulas venimmo a Grosseto - raccontava un anno fa - per realizzare un reportage sui giurisdavidici, i seguaci di Davide Lazzeretti anche detto il Cristo dell'Amiata. Allora Luciano era direttore della biblioteca Chelliana e ci era stato indicato come il maggiore esperto in materia. Ci accolse benissimo... Ecco come ho conosciuto Bianciardi, un sognatore, dotato di grande umiltà e di humour straordinario. Ha saputo vedere con largo anticipo come sarebbe diventata l'Italia. I grandi scrittori che ho conosciuto hanno una profonda stima di lui. Sento di avere una affinità ideale con Luciano. Dopo il primo incontro a Grosseto, ci ritrovammo a Milano, nella pensione della signora Tedeschi, che nella finzione letteraria diventa De Sio, al numero 8 di via Solferino. Mi ricordo che spesso ci addormentavamo con il ticchettio della macchina da scrivere di Luciano. Era un cesellatore di parole, un patito della ricerca in biblioteca, un eccellente traduttore e scrittore. Ma anche un fanatico del calcio".

A ricordare l'amico Dondero con affetto è anche Ettore, figlio di Luciano Bianciardi. "Anni fa, davanti a un pubblico numeroso che celebrava i suoi ottant'anni - dice Ettore Bianciardi - Dondero ricordò come mio padre gli disse, nel 1954 in quella camera a Brera, 'Sai, ho un figlio di quattro anni e vedessi come è bellino!' e che per questo mi riteneva un po' il suo figlioccio, e definiva fotopittura il mio modo di fotografare. Ma di Mario, che non chiamo maestro perché so che non gli piace, mi sorprende soprattutto la tenerezza con la quale, insieme alla voce calda, avvolge le persone che incontra". Con quel sorriso sereno, la voglia di raccontare e l'umiltà che è solo dei grandi.