Martina, il perito: "Ecco perché non si è uccisa". Le carte dell'inchiesta

La prima ipotesi era stata omicidio contro ignoti: ma il Gip avevadetto no e negato le intercettazioni a carico dei quattro ragazzi coinvolti

Martina Rossi

Martina Rossi

Arezzo, 28 novembre 2016 - La prima ipotesi di reato per la morte di Martina Rossi fu omicidio volontario. A Genova, quando ancora l’inchiesta era nelle mani del Pm Biagio Mazzeo, messo in moto dalla denuncia della famiglia: non è stato il suicidio di cui parla la polizia spagnola ma qualcosa d’altro. Lo si scopre dal decreto con il quale il Gip Massimo Cusatti rigetta un’ulteriore richiesta di intercettazioni telefoniche e ambientali a carico dei quattro ragazzi aretini coinvolti: Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, quelli ora accusati di aver provocato la tragica caduta della studentessa in un tentativo di violenza sessuale, e Federico Basetti ed Enrico D’Antonio, sotto processo invece proprio a Genova per false dichiarazioni al Pm.

Legate appunto a un’altra intercettazione ambientale precedente, nella caserma del capoluogo ligure in cui i giovani venivano interrogati: «Non vi preoccupate, non ci hanno chiesto della violenza» e ancora: «Abbiamo sgamato la polizia».

Nessuno di loro, però, è ancora indagato e l’omicidio è in questa fase (siamo al 19 novembre 2013, quindi già a due danni dalla tragedia di Palma del 3 agosto 2011) a carico di ignoti, come scrive il Gip Cusatti nel negare le intercettazioni: «Non sussistono i gravi indizi della consumazione del reato di omicidio, in relazione al quale il Pm procede contro ignoti». Il giudice peraltro ammette «che l’atteggiamento dei sommari informatori (i ragazzi aretini sentiti come testimoni Ndr) non è certo apparso improntato a trasparenza» ma suo giudizio non basta, nemmeno a procedere per il reato che verrà poi contestato dalla procura di Arezzo, la morte come conseguenza di altro reato, che secondo il Gip potrebbe essere collegato solo a una cessione di droga di cui non esistono tracce.

Lo scenario di Martina che scappa dalla camera per sottrarsi al tentativo di violenza sessuale si affaccerà solo in seguito, anche nell’indagine del Pm Mazzeo, poi ripresa dai colleghi aretini. Anzi, quanto all’ipotesi di omicidio, che presupporrebbe Martina buttata giù dal terrazzo, il giudice Cusatti si fa forte della relazione del perito del Pm, ingegner Sartini, secondo il quale «è verosimile che la caduta sia stata determinata da fattori accidentali».

E’ a questo punto che probabilmente Mazzeo riprende in mano e corregge il suo quadro accusatorio, virandolo verso lo sfondo sessuale. Qui sì che la relazione Sartini diventa pregnante. Perchè l’ingegnere scrive (e lo accompagna con un grafico) che la caduta di Martina è avvenuta «quasi a candela senza proiezione orizzontale». Quindi, «si può escludere un’azione volontaria (un suicidio ndr) che avrebbe comportato comunque uno slancio verso l’esterno», cioè il famoso volo ad arco.

Non solo, Sartini, esaminando la scena della tragedia, cioè la camera 609 dell’albergo, dice che esso non combacia con le dichiarazioni di Alessandro e Luca. Non può essere che uno fosse a letto, perchè il letto è intatto, non può essere nemmeno che Luca dormisse, perchè il rumore della lite fra Martina e l’amico l’avrebbe svegliato. E l’inizio di un iter che ora viaggia a tutta forza verso il processo.

di Salvatore Mannino