I badanti kapò non tornano in carcere: pronto il patteggiamento a tre anni

Accordo fatto fra accusa e difesa, ora manca il via libera del Gup. I singalesi restano nei limiti dell'affidamento in prova

Una delle scene di aggressione

Una delle scene di aggressione

Arezzo, 22 luglio 2017 - Non torneranno in galera. Non almeno se il Gup Gianni Fruganti darà il via libera, nell’udienza del 25 luglio, al patteggiamento sul quale si sono messi d’accordo accusa e difesa: tre anni, quanto appunto eviterà ai badanti kapò della casa degli orrori di Agazzi di riassaggiare il gusto amaro della cella da cui erano usciti alla fine di maggio. La pena infatti è di quelle che consentono di restare nei limiti dell’affido in prova ai servizi sociali. In altre parole, marito e moglie singalesi dovranno scontarla svolgendo lavori socialmente utili per la comunità.

Magari non (perchè sarebbe troppo) prendendosi cura di un’altra persona disabile come quella che era loro affidata e che hanno maltrattato, ripresi nell’ultimo periodo dalla telecamera che il Pm Laura Taddei aveva fatto installare in casa. Il caso è fin troppo noto, approdato persino al clamore delle Tv nazionali, immortalato dalle immagini crude riprese dentro l’abitazione di Agazzi: un coltello brandito contro la signora con problemi di salute psichica che avrebbero dovuto accudire, persino un piatto spaccato sulla testa.

Uno scandalo per il quale i due singalesi hanno chiesto scusa, ammettendo che si erano lasciati andare ai nervi. Ma, hanno provato a difendersi, non ne potevamo più, era un periodo in cui lei era particolarmente intrattabile.

Marito e moglie continuano, invece, a negare la sequela di violenze che il Pm Taddei contesta per il periodo precedente, quasi due anni in cui la disabile sarebbe stata sottoposta a vessazioni di ogni tipo: ecchimosi, lesioni, privazioni di cibo, persino docce nel garage invece che nel bagno di casa. Finchè non si arrivò all’episodio scatenante: un ricovero, nell’agosto di un anno fa, al pronto soccorso, contrassegnato dal codice rosa, quello della violenza sui più deboli.

In ospedale la signora ce l’avevano mandata gli operatori della Pia Casa Fossombroni, la struttura che l’assisteva durante il giorno e che aveva segnalato a più riprese gli strani segni con la quale lei si presentava la mattina. Sono i segni che avevano notato anche noi, si difendono i badanti, tanto che ne avevano parlato con l’avvocato tutore. Loro però assicurano di non averla maltrattata fino agli ultimi mesi, le ecchimosi, spiegano, potrebbe anche essersele procurate da sola, con movimenti inconsulti dovuti a un’accelerazione dei suoi problemi psichiatrici.

Alla fine, il Pm Taddei aveva chiesto il rito immediato dell’evidenza della prova, cui l’avvocato Andrea Santini aveva replicato con un’istanza di rito abbreviato. Il 6 luglio il Gup Fruganti non ha voluto avviare il processo: provate a patteggiare, ha sollecitato le parti. Il quid stava tutto nel quantum di pena. Santini non voleva un accordo che rimandasse i badanti in galera, come era successo a marzo, quando un altro Gip, Piergiorgio Ponticelli, aveva aggravato in custodia cautelare la prima misura dell’allontanamento dalla casa degli orrori.

Con lo stesso provvedimento il Gip aveva interdetto l’avvocato tutore Enrico Burali, poi scagionato dal tribunale del Riesame: non c’è dolo nel suo comportamento. Il che non gli ha evitato di finire sotto processo nell’aula del giudice monocratico. Lì siamo ancora alle prime battute.