Etruria, 5 dirigenti a processo: istigazione alla truffa. "Gara a chi piazzava più bond"

Secondo la Procura veniva tenuta una classifica di "rendimento" continuamente commentata, Ma gli accusati (uno solo si è fatto interrogare) negano

LA PROTESTA IN PIAZZA_13378090_034811

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Arezzo, 28 aprile 2017 - In Banca Etruria, se la procura ha ragione nella sua ricostruzione, c’era persino una classifica dei buoni e dei cattivi, una graduatoria on line che i dipendenti potevano scalare a seconda della quantità di obbligazioni subordinate che riuscivano a piazzare. E i dirigenti che presiedevano al collocamento presso il grande pubblico non mancavano di commentarla «costantemente, con apprezzamenti, incoraggiamenti, biasimi per i casi di scarsa efficienza».

E’ l’ultima novità sul caso dei titoli azzerati, quella che il pool di Pm guidato dal procuratore Roberto Rossi aggiunge al puzzle in base al quale fissa per il 7 dicembre l’inizio del processo a carico di cinque dirigenti accusati di aver istigato alla truffa i direttori di filiale e i singoli addetti che poi materialmente vendevano i bond alla clientela. Il vertice insomma, sempre secondo l’accusa, della complessa organizzazione che in Bpel si occupava nel 2013 del collocamento delle due emissioni di giugno e ottobre, valore 160 milioni, fondamentali per la sopravvivenza di una banca che aveva rinunciato un anno prima, dopo il declassamento del rating da parte di Fitch, al canale della clientela istituzionale come i fondi di investimento.

Bene, nello scenario delineato dalla procura, a guidare le operazioni di vendita ai semplici risparmiatori, cui veniva prospettata la possibilità di un investimento al tempo stesso sicuro e redditizio, erano Luca Scassellati, responsabile della direzione territoriale di Arezzo, Paolo Mencarelli, capo del dipartimento Private, Federico Silvestro Baiocchi, direttore dell’area mercato, per il quale è stato chiesto il rinvio a giudizio anche nel filone della bancarotta fraudolenta, Samuele Fedeli e Luigi Fantacchiotti, coordinatori della zona di Arezzo.

I primi tre, secondo il capo di imputazione, «convocavano e partecipavano a riunioni con i direttori di sede, durante le quali veniva impartita la direttiva di vendere ai clienti maggiormente fidelizzati...prescindendo dal corretto profilo di rischio (dei clienti Ndr)». A ciascuna unità territoriale, sempre secondo l’accusa, veniva assegnato «un budget da raggiungere necessariamente», con «l’espresso avvertimento che i direttori e gli altri dipendenti sarebbero stati valutati sulla base della quantità delle obbligazioni vendute».

Ma, secondo il pool dei Pm, non finiva qui: per i dipendenti c’era anche «la prospettazione ed effettiva attuazione di minacce di emarginazione professionale o trasferimenti penalizzanti, nei confronti di soggetti che avevano formulato obiezioni circa la scorrettezza e pericolosità della vendita indistinta ai clienti retail». Fedeli e Fantacchiotti, avrebbero «trasmesso tali direttive nella rete territoriale, vigilando sulla loro attuazione». Il bastone e la carota, dunque, i premi per chi piazzava più obbligazioni, l’angolo dei cattivi per chi non ci stava.

A raccontarlo la classica dipendente «pentita», che si è sfogata in procura dopo essere stata trasferita in provincia per le sue obiezioni e essersi dimessa per passare a un’altra banca. Quattro dei cinque dirigenti non si sono mai fatti interrogare (solo Baiocchi ha affrontato il confronto coi Pm), ma in via informale tutti negano: sono calunnie, era solo il modo di lavorare di qualsiasi banca, in Etruria, anzi, i metodi erano più artigianali e meno oppressivi che altrove.

Ma ormai la parola è al processo che comincia il 7 dicembre. Anzi, a quelli che si svolgeranno a partire da settembre ai singoli direttori e impiegati accusati di truffa per aver venduto direttamente i titoli ai clienti. Lì si decide la partita, perchè se c’è il reato tutti rischiano grosso. Ma se non c’è la truffa, non c’è neppure l’istigazione.