Diari, l'emozione della pronipote: vince il manoscritto riproposto dopo anni

Il collegamento telefonico con la discendente della vincitrice. "E' una grande emozione". I brani più emozionanti del racconto. Nella foto Patrizia Gabrielli

Patrizia Gabrielli

Patrizia Gabrielli

Arezzo, 16 settembre 2019 - A Pieve quest’anno c’è anche la sorpresa finale: il collegamento telefonico (traballante) dal palco con la nipote della vincitrice, la «Figlia del Risorgimento» Eugenia Dal Bò, vissuta a cavallo di due secoli fra il 1867 e il luglio 1942, alla vigilia della caduta del fascismo. Lei, Maria Rosa Acrì Borrello, 87 anni, questa antenata scrittrice l’ha conosciuta appena, da bambina, ma ha fatto di tutto perchè il suo diario, conservato in famiglia per generazioni, non andasse perduto.

Aveva sentito parlare dell’Archivio e ha pensato che fosse il luogo migliore per conservare quel manoscritto dalla grafia ordinata e precisa. A Pieve lo hanno letto e hanno proposto alla signora di portarlo in gara. Lei non sapeva neppure di questo premio letterario così singolare, ma ha accettato subito. Risultato: la giuria nazionale che non ha avuto dubbi nel votarlo come il migliore del 2019.

«E’ un riconoscimento che mi emoziona - si commuove la nipote al telefono - un premio che va non solo ad Eugenia, testimone del suo tempo, ma anche al marito, il generale Gherardo Pantano, che aveva subito l’emarginazione del fascismo». Sul palco, a ritirare la targa, sale Patrizia Gabrielli, storica dell’università di Arezzo, giurata e soprattutto specialista della storia di genere, al femminile.

Il che dice molto sul tenore del corposo manoscritto, racconto non solo di una testimone della storia d’Italia fra il Risorgimento e il Ventennio, ma anche figura di spiccata vocazione per il ruolo pubblico delle donne in un’epoca in cui non era ancora di moda. ugenia, nata nel 1867, in quel Veneto che è appena entrato nel Regno d’Italia dopo guerra all’Austria del 1866, viene spinta dal padre, un mazziniano che per le sue idee ha conosciuto il carcere duro nelle fortezze asburgiche, a studiare fino alla laurea in lettere a Napoli, unica donna del suo corso. Così come sarà la prima donna del suo tempo studiosa di Dante e conferenziera.

Ma è il matrimonio con l’ufficiale Gherardo Pantano a proiettarla nel cuore della storia post-risorgimentale. Lui, quando sono ancora fidanzati, viene preso prigioniero dall’esercito di Menelik nella disfatta di Adua del 1896. Lei lo raggiunge in Africa, dove vivono fra Aden, colonia inglese, e Mogadiscio. Poi Pantano parteciperà alla guerra di Libia ed è a Tripoli che i due vengono raggiunti dalla notizia dell’assassinio di Francesco Ferdinando d’Austria che dà inizio al primo conflitto mondiale.

Lui è al fronte, comandante di un reggimento prima e poi generale, lei fa l’infermiera volontaria, lui non nasconde il disappunto per la durezza con cui i soldati trattano i soldati, lei racconta la rotta di Caporetto, vissuta in un ospedale da campo: «Si facevano iniezioni antitetaniche e si ponevano quei poveri soldati in condizioni di fare la lunga e dolorosa via crucis che li aspettava e che aspettava tutti noi».

Ma altri brani commoventi narrano il tentativo di fuga del padre dal carcere della veneziana isola di San Giorgio ancora in mano agli austriaci e il periodo africano della coppia: «Era la prima volta che viaggiavo in carovana e ne ero oltre che molto contenta, altrettanto curiosa. Avevamo una scorta di Ascari...partimmo all’ora del tramonto».

Una parentesi esotica in una vita intensa, da testimone della grande storia. Il resto è fatto degli altri sette diari che sono stati presentati ad uno ad uno sul palco nel corso di un lunghissimo pomeriggio. Tutti avevano qualcosa di particolare, tutti avrebbero potuto vincere. Ma Eugenia Dal Bò, la figlia di due secoli, aveva qualcosa in più