Rivera: «Che sfida contro il Perugia dei Miracoli»

Milan, Pallone d'Oro, la famiglia: il Golden Boy torna a Perugia per il Festival del Calcio e si racconta: «La vostra era una squadra fortissima»

Gianni Rivera

Gianni Rivera

Perugia, 31 maggio 2016 - Un predestinato, uno che da bambino prendeva a calci qualsiasi cosa rotolasse. Tra le macerie di una guerra appena terminata e la passione per il pallone. Fino ad avere ai suoi piedi il mondo del calcio internazionale. Strappando nella stagione 1978 / 79 lo scudetto al Perugia dei Miracoli. «Fu un duello combattuto fino all’ultimo, contro un grande Grifo». Gianni Rivera torna a Perugia domenica prossima, ospite del Festival del Calcio in programma dal 2 al 5 giugno. Dall’Alessandria al Milan, le Olimpiadi, il Pallone d’Oro, i Mondiali, la famiglia, fino ai giorni nostri: c’è tutta la vita del Golden Boy nel libro «Gianni Rivera Ieri e Oggi. Autobiografia di un campione» che presenterà alle 21.30 al Caffè Blitz.  Rivera, che legame ha con l’Umbria? «E’ tra le regioni più belle d’Italia. Ci sono stato molte volte, ci torno sempre con piacere». Nel 1979 con il Milan tolse lo scudetto al Grifo... «Lo ricordo bene. Il Perugia perse un momento il passo nel finale e ne abbiamo approfittato per vincere il campionato davanti a una squadra rivelazione che arrivò al secondo posto senza mai perdere una partita». Fu la sua ultima stagione... «Dopo lo scudetto decisi che era il momento di smettere, dovevo pensarci io e non gli altri». Altri tempi. Quest’anno Inter-Udinese in campionato si è giocata senza italiani in campo. Nel 1979 era diverso... «Già, in quel campionato non c’erano stranieri. Ma poi tutto è cambiato. Le società italiane hanno puntato su grandi giocatori in giro per l’Europa e purtroppo si sono dimenticati di curare i settori giovanili italiani. E’ stato un po’ questo il guaio del nostro calcio, adesso ne paghiamo le conseguenze». Segue la serie B? «Soprattutto sui giornali e nella parte finale. Il presidente del Perugia, Massimiliano Santopadre, non lo conosco personalmente ma per fama e capacità». Gianni Rivera, data di nascita 18 agosto 1943. Un periodo difficile... «Sono nato scappando dalla guerra. I miei genitori stavano fuggendo in campagna dai bombardamenti ad Alessandria. Mio padre lavorava in ferrovia e quando sentiva le sirene si buttava giù dal convoglio, prendeva la bicicletta e con mia madre si spostava nel paese dove erano nati. E in una di queste fughe ho deciso di nascere, nella locanda dei genitori di mia madre».  E ha subito iniziato a giocare a calcio.  «Appena mi liberavo dagli orari della scuola correvo a giocare. Se avevo dei compagni, meglio. Potevamo anche organizzare qualche partita in città, non c’erano tante auto, l’unico pericolo erano i vigili che ci portavano via il pallone. Ma quando non avevo amici, pur di giocare lo facevo da solo e palleggiavo sotto casa, contro il muro». Tutto rivive tra le pagine del libro.  «E’ stato un lavoro molto lungo. Un’opera realizzata con mia moglie Laura, cominciata quando abbiamo ritrovato il materiale che mio padre aveva raccolto nel tempo e conservato in un sottoscala». E’ un volume ricco di colori. Quante tonalità hanno dipinto la sua vita? «Ci sono il verde e il bianco della squadra dell’oratorio dove ho mosso i primi passi; il grigio e il blu dell’Alessandria dove ho iniziato a dare qualche messaggio nel calcio e poi il rossonero del Milan, dove ho giocato per 19 stagioni».  Ma gli editori non erano interessati. «Volevano il racconto nudo e crudo della mia vita con qualche foto, ma tutto non ci stava in un libretto. Abbiamo deciso di farlo come famiglia e lo vendiamo on-line, si può ordinare sul sito www.giannirivera.it. Anche perchè pesa 4 chili... ». Quali sono i veri valori dello sport, secondo lei? «Bisogna accettare norme fondamentali: curare personalità e fisico; accettare di far parte di una squadra dove ci sono diversità e rispettare le regole». Proprio l’altro giorno a Bevagna è scoppiato il caos tra genitori che assistevano a una gara dei bimbi... «La prima educazione dovrebbe partire dai genitori. Purtroppo quelli che hanno un figlio con delle qualità pensano di aver risolto i problemi di sette generazioni. Invece i numeri sono chiari: su 30mila bimbi che a 7 anni cominciano a giocare a pallone, uno solo arriva in serie A. Bisognerebbe fare come a scuola: i genitori accompagnano i ragazzi in aula e poi tornano a casa». Ha seguito l'amichevole della Nazionale di Conte? «Sì, sono partite di allenamento e contano fino a un certo punto. La cosa importante è che gli Azzurri siano pronti il 13 di giugno per il debutto all’Europeo. Per esempio mi è capitato alcune volte che nei pre-campionati europei o mondiali vincevamo contro tutti e poi nel torneo vero e proprio tornavamo a casa subito. La Nazionale ci ha abituato a tutto, può arrivare lontano». Dal calcio alla politica: una vita sempre in campo. «Ho giocato vent’anni come calciatore, ne ho vissuti 22 a livello politico, dove ho capito che ognuno fa per sè e la squadra comincia a contare quando c’è chi ha le preferenze giuste. C’è più egoismo, mentre nel calcio no, bisogna tutti insieme puntare alla vittoria».